Prima in Aula al Senato, poi al Quirinale e perfino al Tg1: la giornata dell’accordo tra Italia e Ue è, soprattutto, la giornata di Giuseppe Conte. L’avvocato “inviato” dai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini a trattare con gli eurocrati non era certo della buona riuscita del negoziato fino alla sua ufficializzazione, questa mattina.
Solo dopo, il premier decide di presentarsi al Senato per spiegare la “nuova” manovra. Una legge di bilancio che, pur
mantenendo le riforme chiave di M5S e Lega, è certamente meno “figlia” dei due vicepremier. E non è un caso che, nel giorno dell’atteso accordo sia Di Maio che Salvini scelgano un netto low profile.
A loro, nei prossimi giorni, toccherà spiegare agli elettori il perché e il percome della svolta prudenziale di M5S e Lega. I primi, come segnala Beppe Grillo su facebook, potrebbero lanciare il “reddito universale” come vero e proprio punto del programma delle Europee.
La seconda rilancerà, a manovra approvata stavolta, la sua battaglia all’Ue del rigore a partire dal bilancio europeo. Alla fine, però, nel governo ha prevalso l’ala moderata. Quella che fa riferimento al presidente Sergio Mattarella e che ha proprio in Conte, ma anche nei ministri Enzo Moavero e Giovanni Tria, tasselli fondamentali.
Un’ala alla quale, sulla manovra, si erano uniti anche i sottosegretari Giancarlo Giorgetti e Stefano Buffagni. Ma, più di un esponente della maggioranza si chiede a cosa sia servito, allora, andare al lungo scontro sul 2,4%.
“Lo dicevo tre mesi fa che si doveva fare così…”, commenta un parlamentare M5S.
Al Senato Conte non ha al suo fianco né Di Maio né Salvini. Ed è un’assenza che pesa, la loro. Ma il M5S, da qualche giorno, è piuttosto generoso nel rimarcare il suo plauso al premier. Uomo della mediazione che, tuttavia, non va dimenticato esser stato scelto proprio dal Movimento ben prima del contratto con la Lega.
Inevitabile, insomma, che la posizione del premier – e forse anche la sua influenza – ne esca rafforzata dal negoziato
sulla manovra, si ragiona in ambienti della maggioranza. Anche perché è con lui, soprattutto – si rimarca negli stessi ambienti – che l’Ue ha dimostrato di voler parlare.
L’accordo con Bruxelles dà un pò di respiro al governo giallo-verde placando l’atmosfera di reciproci sospetti. Ma lo
scontro è solo rinviato. I decreti su reddito di cittadinanza e quota 100 vanno ancora messi nero su bianco e l’inizio del 2019 chiamerà l’esecutivo a dare risposte anche ad un nodo cruciale come quello della Tav.
E non saranno, forse, le uniche novità dell’inverno del 2019. La prospettiva di un rimpasto, a manovra approvata, è tutt’altro che esclusa. L’addio del capo di gabinetto del Mef Roberto Garofoli è l’ultima tappa della lunga guerra del M5S ai tecnici del ministero.
E il cortocircuito comunicativo di ieri, tra Mef e Palazzo Chigi, sull’accordo informale con l’Ue, è la spia di un’insofferenza di fondo tra i capisaldi del governo.
Tanto che qualcuno, nella maggioranza, non fa fatica a interpretarlo come il “canto del cigno” di un ministro che, a dispetto del premier, non sembra uscire rafforzato, agli occhi di M5S e Lega, dal negoziato con l’Ue.
(Fonte: Gds.it)