“Noi non fermiamo nessun motore. Abbiamo persone da mettere in sicurezza”. Via radio il comandante di Mare Jonio risponde con voce affabile e tono fermo all’intimazione della motovedetta della Guardia di Finanza. Pietro Marrone, siciliano più di mare che di terraferma, è un navigante di lungo corso che ha preso casa nel Mediterraneo. Al comando dei motopesca di Mazara del Vallo attraversa da decenni il Mammellone, quel tratto di Mare Nostrum una volta così pescoso da sfamare le famiglie di pescatori di almeno tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia.
Ma il comandante ha soprattutto vari conti in sospeso con i libici. La prima volta gli sequestrarono una nave nel 1982. Era l’epoca dei negoziati sottobanco tra Italia e Tripoli, o tra Roma e Tunisi. I Paesi del Nordafrica avevano preso l’abitudine di catturare pescherecci italiani per contrattare su altre partite: scambi commerciali, giurisdizione sulle acque, contrabbandi vari.
Perciò mai uno come Pietro Marrone affiderebbe un solo migrante alla cosiddetta Guardia costiera di Tripoli. Al comando della Mare Jonio c’è finito più per vocazione che per busta paga. Da subito s’era compreso che lui su quella nave di salvataggio italiana voleva esserci. Con o senza stipendio.
Pochi anni fa uno dei suoi pescherecci rientrò a Mazara del Vallo nello sconcerto della marineria che dalla banchina osservava il miracolo di una strage mancata. I guardacoste tripolini avevano sparato ad altezza d’uomo, squarciando lo scafo e mancando d’un soffio i pescatori che avevano gettato le reti in acque internazionali.
Perciò pochi come il comandante Marrone sanno come vedersela con la cosiddetta guardia costiera libica. Ieri non ha avuto dubbi, e quando con il capo missione Luca Casarini ha lanciato in acqua i due gommoni veloci sulle coordinate indicate dall’aereo Moonbird, ha puntato la prua di Mare Jonio spingendo avanti tutta verso i migranti alla deriva da due giorni. Pietro Marrone sa che lo impongono le convenzioni internazionali, e che abbandonare esseri umani tra i flutti per un pescatore non è solo un reato umanitario, è prima di tutto un tradimento. Consegnarli ai libici, poi, equivale a commettere il reato di “respingimento”, previsto dalle norme internazionali per chiunque consegni i naufraghi alle autorità di un Paese in alcun modo considerato “porto sicuro”. E neanche il governo italiano ha mai riconosciuto la Libia come tale.
Quello che mai il comandante Marrone si sarebbe aspettato è stato il ricevere da una nave militare italiana l’ordine di spegnere i motori in mare aperto. Perciò ha risposto nel solo modo che poteva: “Abbiamo persone che non stanno bene, devo portarle al sicuro e ci sono due metri di onda. Io non spengo nessun motore”.
(Fonte: Avvenire.it – Nello Scavo)