Qualcuno se lo ricorda ancora. Il Porto di Mazara del Vallo era pieno, anzi strapieno di barche. Roba da libri di storia, ormai: nel secolo scorso, erano forse gli anni Novanta, c’è chi ha contato oltre 300 barche da pesca grandi (i famosi pescherecci mazaresi) e piccole. Altri tempi. Oggi si guarda al Porto con malinconia,
rimpianto e rabbia: il porto non è sostanzialmente navigabile ed è considerato persino dannoso dagli armatori: i pescherecci d’altura sono ormai 67, secondo gli ultimi dati della Capitaneria di porto, ma se possono evitano come la peste questo porto pieno di sabbia. E anche le 163 navi minori cercano di fare altrettanto. Al porto guardava, spesso, Giovanni Tumbiolo, il compianto fondatore e presidente del Distretto della pesca di Mazara del Vallo, che per anni ha portato avanti la battaglia per lo sviluppo di questo comparto costruendo reti e relazioni con mezzo mondo, ma soprattutto con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.
Il Distretto, con il suo Osservatorio sulla pesca mediterranea e la crescita blu che non viene aggiornato dal 2017, era un cantiere aperto nel tentativo di contemperare il legittimo interesse dei pescatori mazaresi (ma non solo) e le indicazioni sulla diminuzione dello sforzo di pesca nel Mediterraneo provenienti dall’Unione europea.
«La flotta a strascico di Mazara, che ancora nel 2011 presentava oltre 100 natanti con lunghezza maggiore di 24 metri e una stazza media di 160 Gt, operanti nel Canale di Sicilia ai limiti delle acque nord africane, in Grecia a Creta e in Egitto, vede ora ridotta la sua consistenza a meno di 85 barche – si legge nell’edizione 2017 del rapporto dell’Osservatorio presieduto da Giuseppe Pernice -. L’unica prospettiva per assicurare un futuro a questa importante attività che ha come target i crostacei, il gambero bianco, il gambero rosso e il viola e gli scampi, è l’avvio di un serio programma di cooperazione con i Paesi nord africani per l’adozione di piani di gestione degli stock che prevedano un prelievo razionale e sostenibile delle risorse, nonché adeguate aree di ripopolamento e protezione».Oggi i pescherecci d’altura danno lavoro a circa 600 persone cui si aggiungono 2.500 addetti nell’indotto: secondo stime circa la metà rispetto a dieci anni fa. Stesso discorso si può fare per il fatturato: i soli pescherecci, sempre secondo stime da parte degli armatori, fatturano oggi quasi 70 milioni l’anno ma la filiera comprende anche circa 30 imprese che si occupano di trasformazione e commercializzazione. Secondo alcune stime l’intero settore solo a Mazara varrebbe circa 200 milioni sicuramente il almeno il 30 per cento in meno rispetto a dieci anni fa.
Tumbiolo è morto un anno e mezzo fa e ha lasciato orfani un mondo (quello della pesca) e una squadra di collaboratori preparati al Distretto della pesca e della crescita blu. E soprattutto è andato perduto quel patrimonio di rapporti e relazioni che lui aveva costruito con ambasciatori, ministri, capi di questa o di quella fazioni, rappresentanti dei governi dei Paesi africani.
«Noi abbiamo chiesto al governo italiano di assicurarci la scorta – dice Domenico Asaro, presidente dell’associazione armatori di Mazara del Vallo -. Con i nostri pescherecci arriviamo fino a 20 miglia dalla costa della Libia per pescare il gambero rosso. Loro, i libici, avanzano pretese fino a 74 miglia. E così siamo costantemente in pericolo visto che il governo non ci dà le navi militari. Ma noi pensiamo non sia giusto pagare questo pizzo ai libici».
Asaro è uno di quelli che ha pagato a caro prezzo lo scontro mai risolto con la Libia: nel 1996 si è fatto sei mesi di carcere nelle prigioni di Gheddafi e gli hanno sequestrato un peschereccio di 37 metri. Gli armatori, che stanno pianificando una clamorosa azione di protesta con il rientro delle imbarcazioni il primo novembre e l’interruzione delle attività di pesca, lamentano una sproporzione di trattamento: agli italiani viene chiesto di allentare lo sforzo di pesca mentre i tunisini e gli egiziani aumentano la loro presenza nel mar Mediterraneo. «Vogliamo e dobbiamo essere uniti – dice Asaro – perché temiamo per il nostro futuro. A Mazara oggi c’è solo tanta preoccupazione».
(Fonte: www.ilsole24ore.com – Nino Amadore)