Ha sempre gli occhi e la mente rivolti verso lo stadio comunale “Nino Vaccara”. Ne è stato il custode, fin da ragazzo ed oggi, se non fosse per il Corona Virus che lo rilega a casa, sarebbe ancora lì, negli spogliatoi o ad accendere la lavatrice per fare il bucato alle maglie, pantaloncini e calzettoni dei giocatori. E’ Antonio Mangiapane, 90 anni, pluripremiato da società sportive di calcio ed in particolare dal Mazara calcio. In città lo conoscono tutti, e vecchi e nuovi giocatori lo chiamano da sempre “Mastro Antonio” perché lui è un “maestro” di cordialità ed affettuosità ma principalmente di vita. Non è stato mai un giocatore sul piano agonistico, né allenatore, ma allenava singolarmente qualche giocatore del quale Antonio intravedeva buona tecnica di base. Era bravissimo nel calciare le punizioni decentrate con il piede destro “alla Del Piero” e consumava delle ore ad insegnare a qualche giovane come si doveva calciare il pallone. Lui calciava ed era quasi sempre gol, come per magia. “Mastro” Antonio ha visto transitare negli spogliatoi centinaia di giocatori e tecnici fin dagli anni 50 che ha accolto, sempre, a braccia aperte. La maglia canarina l’ha appiccicata addosso e freme per ritornare al suo lavoro, dentro lo stadio. “Sono un leone in gabbia – dice al telefono – non posso uscire, io che ero sempre fuori, allo stadio che è stato ed è ancora la mia vita, fin da quando si doveva spianare la terra battuta o togliere il fango dopo le piogge fino ad oggi che c’è il manto in erba sintetica”. Racconta di molti giocatori “bravi ma discontinui che a volte mi vengono a trovare per non parlare dei calciatori mazaresi con i quali ho condiviso gioie e dolori. Mi ricordo della “nidiata” mazarese della squadra allenata da Ignazio Arcoleo, un grande tecnico, con la squadra che vinse il campionato ma poi non venne ammessa in C2”. Allenatori ne ricorda parecchi, in particolare Cesto Vycpalek “una persona squisita – dice Antonio – un grande allenatore, peccato che non riuscì molto “simpatico” alla tifoseria e venne esonerato a furor di popolo, secondo me perché non era un tipo che in panchina “vuciava” (non era teatrale) ma era sempre sereno. E questo alla tifoseria passionale non piaceva. Lo avrebbe voluto vedere incitare la squadra dalla panchina e richiamare i giocatori in campo che sbagliavano passaggi e posizione. Poco tempo dopo però Boniperti lo chiamò ad allenare la Juventus e vinse lo scudetto”. Una strana avventura quella di “Cesto” e del figlio “Cestino” per il suo tragico destino. Vestiva la maglia canarina numero 10. A Mazara , lo condusse il padre. Disputò poche partite, la morte lo ghermì una sera di maggio sul crinale della Montagna Longa di Palermo. “Cesto” deve molto all’esonero a seguito della sconfitta interna con la Nuova Igea del mese di dicembre del 1970. Il tecnico, poco dopo, libero da impegni, si incontrò a Bagheria, con il suo compagno di squadra, Giampiero Boniperti (all’epoca amministratore delegato della Juventus) che lo invitò a Torino alla corte di Agnelli. Il seguito della storia appartiene alla storia del calcio italiano: l’immatura scomparsa di Picchi, l’avvento di Cesto alla guida della prima squadra, lo scudetto, il Seminatore d’oro. Nel frattempo il Mazara, fatta una apparizione in quarta serie, era ritornato tra i dilettanti. “Quello – ricorda Antonio Mangiapane – è stato un momento veramente triste ma dopo qualche anno ci siamo ripresi. Ora speriamo che questo Corona Virus termini e si ricominci a giocare”.
(Fonte: Giornale di Sicilia – Salvatore Giacalone)