«IL NATALE È TENEREZZA, CONDIVISIONE, PRENDERSI CURA; IL RESTO È PAROLA VUOTA DI SENSO E DI CONTENUTO»
Sorge, a questo punto, la domanda: per caso la pandemia ha fatto sparire il gusto del tempo natalizio? Se si guarda agli aspetti goderecci, sicuramente le rigide disposizioni che ci chiuderanno in casa metteranno in crisi quanti davano al Natale una valenza prevalentemente evasiva. Se, invece, si guarda con un po’ di attenzione contemplante a quanto accadde a Betlemme quella notte (era poi proprio notte?), allora, probabilmente questo Natale, che molti definiscono strano, acquisterà una sua originalità: quella di ritrovare veramente il Festeggiato. Infatti, il colmo è che queste feste di tutto si sono date pensiero tranne che di colui che il Natale, – la vogliamo dire così? – l’ha inventato! Supereremo così la stucchevole diatriba sull’orario delle messe della notte e saremo meno intransigenti sul numero di coloro che celebreranno l’Eucaristia della sera o del giorno. In fondo, a Betlemme quella volta c’erano pochi pastori e tanta indifferenza attorno e quindi il neonato Gesù non si dispiacerà più di tanto se quest’anno saremo solo un po’ più numerosi di quelli che lo festeggiarono alla nascita.
Se poi vogliamo dare un senso all’attesa e riempirla di sentimenti davvero umani (ansia, pazienza, sconforto, condivisione partecipe, talora anche rabbia) guardiamo alla esperienza lunga, snervante, incredibile di quanti (madri e mogli, in particolare) hanno dovuto penare 108 interminabili giorni prima di poter apprendere la notizia della liberazione dei marittimi loro congiunti dalla terribile e ingiusta prigionia in Libia. La maggior parte dei protagonisti di questa dolorosissima vicenda ha dato a questo evento liberatorio il senso di un anticipato regalo di Natale, a loro concesso dal buon Dio, incessantemente pregato con fede e lacrime. E se la gioia di tutti è stata incontenibile lo si deve proprio alla sofferenza tremenda sofferta.
Un ulteriore spunto di riflessione lo ha dato Papa Francesco nel Messaggio per la 54a Giornata mondiale della Pace che del 1° gennaio, titolato significativamente La cultura della cura come percorso di pace, «Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente». E se vogliamo liberare il Natale da ogni stereotipo consumistico o vagamente devozionale, allora dobbiamo riconoscere che il mistero dell’incarnazione offre il modello e la misura della cura che Dio si è preso della nostra umanità malandata, insegnandoci che Natale è tenerezza, condivisione, prendersi cura; il resto è parola vuota di senso e di contenuto.
Domenico, Vescovo