Da quando il virus Sars-Cov-2 ha fatto la sua comparsa sono state registrate migliaia di varianti ma mai come in queste settimane l’allarme è aumentato in tutto il mondo, con tre mutazioni che hanno destato non pochi timori da parte della comunità scientifica. Sono le varianti inglese, sudafricana e brasiliana, contro le quali si sta cercando di capire quali vaccini possono funzionare o meno. A preoccupare di più è la variante inglese, che è stata registrata nell’88% delle regioni italiane, come riferisce l’Iss, ed è presente anche in Sicilia.
Cosa è la variante inglese
È la prima ad aver allarmato la comunità scientifica, a causa delle numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano. Si chiama B.1.1.7 e, secondo gli scienziati, ha avuto origine nel Sud-Est dell’Inghilterra a settembre. Si è diffusa molto in fretta da novembre in poi. Le alterazioni che caratterizzano questa variante sarebbero almeno 23, 14 delle quali localizzate sulla proteina spike, la “chiave” d’ingresso del virus nella cellula. Stando alle osservazioni degli studiosi, questa variante presenta maggiori capacità di legarsi al recettore ACE-2 umano e pertanto rende più semplice la propagazione del virus.
Letalità della variante inglese
I primi dati indicano che probabilmente è più contagiosa, ma non più virulenta, anche se recenti studi parlano di un aumento fino al 30% della letalità, ma non è ancora chiaro se sia un dato legato davvero alla sua gravità intrinseca o spiegabile con la maggiore diffusione di questo tipo di virus tra le categorie fragili. In ogni caso sembra possa essere neutralizzata dagli attuali vaccini anti-Covid. Dai primi studi infatti emerge che i vaccini Pfizer, Moderna e Astrazeneca funzionino contro questa particolare variante. La conferma della maggiore letalità era già sembrato emergere a fine gennaio viene dal NERVTAG, New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group, l’organo che rappresenta l’analogo britannico del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) italiano, il quale ha presentato nuovi dati che si basano su circa il doppio degli studi rispetto alla valutazione precedente.
Rischio maggiore tra il 40-60%
“Le analisi indicano che è probabile che B.1.1.7 sia associato a un aumentato rischio di ospedalizzazione e morte rispetto all’infezione “arcaica” del virus”, si legge nello studio illustrato sul sito governativo. I rapporti provengono da varie analisi dagli ospedali in Gran Bretagna e l’entità dell’aumento del rischio non è quantificata, ma Neil Ferguson, epidemiologo e consulente scientifico del governo britannico, ha detto un’intervista: “Il quadro generale è qualcosa come un aumento tra il 40 e il 60% del rischio di ospedalizzazione e di morte”. Tra i vari studi ce n’era uno della London School of Hygiene & Tropical Medicine che ha offerto stime approssimative dell’effetto osservato sulle morti. Ha esaminato 3.382 decessi, 1.722 dei quali di persone infettate dalla variante e ha stimato che il rischio di morte fosse del 58% più alto tra questi ultimi casi. Per gli uomini di età compresa tra 55 e 69 anni il rischio complessivo di morte è aumentato dallo 0,6% allo 0,9%. Per le donne in quella fascia di età dallo 0,2% allo 0,3%.
Diffusione della variante inglese
La maggior parte dei casi di Covid-19, anche quelli causati dalla nuova variante, non sono fatali, gli scienziati lo ripetono, anche perché i decessi esaminati sono solo una piccola percentuale tra tutti. Considerando però che la variante inglese è capace di diffondersi il 50% (almeno) più delle precedenti forme del virus, non è una buona notizia. In Gran Bretagna i casi da variante inglese rappresentano oltre il 90% dei positivi, in Francia la prevalenza è del 20-25%, in Germania sopra il 20%, in Italia, dopo la prima indagine siamo arrivati al 17,8%, ma in alcune zone la prevalenza è di oltre il 50% e il timore degli scienziati, come evidenziato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è che “nell’arco di 5 o 6 settimane il ceppo B.1.1.7 possa sostituire completamente o quasi l’altro ceppo attualmente circolante” nel nostro Paese. Per questo gli inviti a nuove chiusure per contrastare l’avanzata della variante, come hanno deciso in altri Stati europei, e come esorta a fare il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) in una nota: “Il rischio associato a un’ulteriore diffusione del Covid nell’Ue è attualmente valutato come alto-molto alto per la popolazione complessiva e molto alto per gli individui vulnerabili. I Paesi dovrebbero accelerare le campagne di vaccinazione, poiché le varianti hanno maggiore trasmissibilità e potrebbero determinare una maggiore gravità della malattia e i vaccini con licenza esistenti potrebbero essere solo parzialmente o in gran parte meno efficaci”.
Diffusione della variante inglese in Sicilia
La variante inglese del Coronavirus ora fa paura anche in Sicilia. Crescono i casi accertati: ne sono stati isolati una ventina a Palermo, tra un campione di positivi emersi alla Fiera del Mediterraneo, individuati con sequenziamento genetico effettuato al Centro regionale qualità dei laboratori (Crq), e 4 tra i pazienti Covid dell’ospedale Garibaldi di Catania, dopo l’analisi molecolare eseguita dal laboratorio del Policlinico Rodolico. Da inizio gennaio ad oggi, dopo il primo caso diagnosticato su un passeggero proveniente da Londra atterrato all’aeroporto Falcone e Borsellino, nei 4 laboratori di riferimento regionale in grado di sequenziare il virus (due a Palermo, uno a Catania e l’altro a Messina) sono emersi 83 soggetti contagiati dalla mutazione inglese del SarsCov2, di cui 79 individuati al Crq e all’Istituto zooprofilattico di Palermo, e tra questi risultano 53 residenti nel Siracusano.
Fonte: Gds.it