Tutta l’Italia viene informata, ogni giorno, dai grandi e piccoli mezzi di comunicazione, su quello che è avvenuto, tra quattro ragazzi e due ragazze, in Sardegna, sulla Costa Smeralda, in quella notte d’estate tra il 17 e il 19 luglio del 2019.
Così come i fatti vengono letti, sembra che il problema sia sul “consenso” o meno delle ragazze, e non sulla logica e lo stile di vita che questi ragazzi di “famiglie perbene” hanno assunto e vivono.
I genitori intervengono pubblicamente in questa “tragedia”, per difendere ognuno il proprio figlio/a, ricriminare verso lo Stato e chiedere giustizia o protezione.
Pur tenendo presente che i ragazzi oggi rivendicano un’autonomia che sfugge al controllo dei genitori e che la cattiveria umana può insinuarsi dentro il cuore di tutti, non è fuori luogo chiedersi: Chi ha iniziato questi ragazzi in questa logica di ricerca di godimento senza scrupoli, di libertà che coincide con il libertinaggio, di mancanza di senso nella vita, di sesso senza dignità? Chi sono gli educatori di questi ragazzi che li hanno introdotti in una dimensione di vita che a dir poco risulta balorda?
Questi ragazzi sono indicati nei giornali come figli della “società perbene”. Ma di quale “Bene” stiamo parlando? Solo del benessere economico? Perché in tutto il resto di “bene” c’è veramente poco o niente.
I figli della società perbene, sono quelli che si prodigano per fare il servizio civile, quelli che si impegnano nel volontariato, quelli che si adoperano per dare un loro contributo per il bene comune, quelli che si costruiscono un futuro con il proprio sacrificio, l’impegno costante, rischiando di persona.
Questi e solo questi devono essere riconosciuti come figli della “Società Perbene”.
Tutti gli altri li potremmo chiamare “figli abbandonati”, perché non educati al rispetto delle persone, alla ricerca della giustizia e della verità, alla disponibilità a mettersi al servizio del più fragile.
In vicende dolorose come queste, sempre più presenti in tutti i luoghi e ceti sociali, quello che emerge è l’inconsistenza delle agenzie educative, che sappiano accompagnare i giovani alla scoperta della vita, in tutte le sue dimensioni, anche verso il Trascendente.
Una inconsistenza colpevole, anche se forse inconsapevole, perché è una mancanza di assunzione di responsabilità educativa, è un rifiuto a mettersi in gioco, a scommettere sul futuro, a creare tutti i presupposti per una vita felice. È un vero tradimento verso coloro che ci vengono affidati per farli crescere bene.
Per tutti gli educatori – genitori, docenti, catechisti, preti, mister, tutti gli adulti che si relazionano in vario modo con i giovani – comportamenti come questi, sono l’indice di un fallimento, che dovrebbe mettere in crisi ed indurre ad una seria verifica per una vera riprogettazione educativa.
Senza educazione si diventa come bestie, in balia di un istinto che non riconosce nessun limite.
Allora, il problema non è il “consenso” delle ragazze, come vogliono farci credere, ma la mancanza di un progetto educativo che aiuti a crescere, ragazzi e ragazze, non solo nel corpo, ma anche in dignità, rispetto, dialogo, amore…
Don Giuseppe Alcamo