Nel 1998 lo psichiatra giapponese Saito ha coniato il termine “hikikomori” (letteralmente “ritirarsi”) per descrivere una particolare condizione psicologica che riguarda soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti che decidono autonomamente di isolarsi a lungo termine nella propria abitazione.
Questo quadro psicopatologico si caratterizza infatti proprio per un rifiuto verso la vita sociale e scolastica o lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti.
I giovani hikikomori possono mostrare il loro disagio in vario modo: restare chiusi in casa tutto il giorno, oppure uscire solo di notte o di prima mattina quando hanno la certezza di non incontrare conoscenti, oppure ancora fingere di recarsi a scuola o al lavoro e invece girovagare senza meta per tutto il giorno.
La propria abitazione viene lasciata, a seconda dei casi, soltanto per brevi irruzioni nei supermercati, per fare veloci provviste di cibo e riviste, spesso appunto nelle ore notturne, mentre nei casi più gravi, l’hikikomori non lascia la sua stanza né per lavarsi né per nutrirsi.
Dal punto di vista psicologico, tale condizione è caratterizzata da una spiccata perdita di speranza in se stessi e nel mondo, che porta questi soggetti a un progressivo disinvestimento nel proprio presente e futuro.
A partire dalla descrizione dettagliata del fenomeno operata da Saito, numerosi studi sono stati condotti in Giappone per capire le cause che sarebbero all’origine del manifestarsi di questo protratto rifiuto sociale: l’ipotesi che ne è scaturita è che questi giovani, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler sempre primeggiare sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro richiesti e preferiscano quindi rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana che avvertono come opprimente.
Nonostante non esista ancora un’ufficiale definizione dell’hikikomori a livello internazionale, il Ministero della Salute giapponese (MHLW) ne ha indicato alcune caratteristiche e sintomi specifici:
- stile di vita centrato all’interno delle mura domestiche senza alcun accesso a contesti esterni;
- nessun interesse verso attività esterne (come frequentare la scuola o avere un lavoro);
- persistenza del ritiro sociale non inferiore ai sei mesi;
- nessuna relazione esterna mantenuta con compagni o colleghi di lavoro;
- esclusione della diagnosi di hikikomori qualora sia presente un disturbo psichiatrico di maggiore gravità che possa sovrapporsi ai sintomi di ritiro sociale (schizofrenia, ritardo mentale, depressione maggiore etc) o altre cause che possano meglio spiegare il ritiro sociale.
Attualmente diversi studi si stanno concentrando sulla possibilità che il fenomeno hikikomori non sia legato esclusivamente alla cultura giapponese, ma si possano osservare casi di questo tipo anche in paesi diversi: si può pensare, ad esempio, alla sigla britannica NEET (“not in employment, education or training”) per indicare i giovani non impegnati in attività lavorative o educative, o al termine “adultoscelent”, usato negli Stati Uniti, per indicare quei giovani adulti che ancora vivono con i loro genitori e che non sembrano avviarsi verso una vita propria, indipendente dalla famiglia.
Bisogna tuttavia procedere con cautela nell’affermare che i segnali presenti in giovani provenienti da altro tipo di società e culture sia effettivamente comparabile con il fenomeno descritto in Giappone. Inoltre è stata evidenziata una mancanza di criteri clinici specifici nella descrizione del disturbo e gli studi condotti hanno spesso usato campioni non rappresentativi e ricerche poco rigorose dal punto di vista metodologico.
Dott.ssa Alessia Zappavigna -Psicologa