In G. Alcamo, La “sicura bussola” della Chiesa. La recezione del Concilio Ecumenico Vaticano II e i Convegni ecclesiali nelle Chiese siciliane, Il pozzo di giacobbe, Trapani 2008, pp. 51-56.
In questo periodo storico, la Chiesa di Mazara del Vallo è stata servita dalla presenza di tre Vescovi: un Arcivescovo – Vescovo Mons. Gioacchino Di Leo[1], un Vescovo ausiliare Mons. Umberto Altomare[2] e un Vescovo coadiutore “Sedi Datu” Mons. Giuseppe Mancuso[3].
Mons. G. Di Leo e Mons. U. Altomare, nella quaresima del 1962, scrivono una lettera congiunta al Clero e al Popolo, per «non lasciare passare un avvenimento così importante per la storia della Chiesa».
Dopo aver ricostruito la storia dei Concili, evidenziando il ruolo che hanno avuto i Vescovi della Chiesa di Mazara del Vallo, a partire dal Concilio di Calcedonia del 451, dove Pascasino «pastore della diocesi di Lilibeo, la nostra diletta Marsala», vi partecipa come “legato del Papa”, i due vescovi, preoccupandosi che venga diminuito il ruolo del Papa nella Chiesa, tengono a precisare e a documentare che non vi è necessità di un Concilio, in quanto l’autorità del Sommo Pontefice è tale da poter affrontare e dirimere ogni problematica, sia di fede che di costume, e che da un Concilio non ci si deve aspettare nulla di nuovo rispetto a quanto già affermato nel magistero della Chiesa.[4]
«La definizione dell’infallibilità pontificia diede infine tranquillità e pace al cuore di tutti i credenti tanto che fino a qualche tempo fa alcuni stimavano fuori luogo e senza necessità l’indizione di nuovi concili. … Oggi nessun governo fa pressione alla Chiesa per scopi più o meno confessabili, nessuna nuova eresia organizzata cerca di lacerare ancora una volta la veste inconsutile del Cristo; oggi il Concilio è chiamato a dire la sua parola a questa umanità che cresce a vista di occhio nella tecnica e nel progresso materiale e rischia di rimanere rachitica nello spirito».[5]
La preoccupazione di precisare il primato del Papa, per salvaguardarne l’infallibilità e l’autorità è presente in molte lettere episcopali ed evidenzia il fatto che l’episcopato era disabituato ad esercitare una effettiva corresponsabilità nei confronti della Chiesa universale; ogni Vescovo si relazionava con la Santa Sede e non si sentiva coinvolto nella vita delle altre Chiese locali e della Chiesa universale.
[1] Dal 15 ottobre 1950 al 7 ottobre 1963.
[2] Dal 19 giugno del 1960 al 15 giugno 1962.
[3] Nominato coadiutore il 30 luglio 1962; consacrato il 15 settembre 1962; nominato vescovo di Mazara del Vallo dal 26 novembre 1963 al 1977.
[4] cfr. mons. g. di leo – mons. u. altomare, “Il Concilio Ecumenico Vaticano II”. Lettera pastorale al clero e al popolo della diocesi di Mazara del Vallo, Quaresima del 1962, 4. Una breve ricostruzione della storia dei Concili è presente in molte lettere pastorali dei vescovi diocesani, risponde al bisogno di informare i fedeli sul significato ecclesiale della parola Concilio; cfr e. ruffini, In prossimità del Concilio Ecumenico Vaticano II. Lettera Pastorale del 1962; f. monaco, Prepariamoci al concilio. Lettera Pastorale, in «Monitore Diocesano» febbraio- Marzo 1962, 19-33.
[5] cfr. mons. g. di leo – mons. u. altomare, “Il Concilio Ecumenico Vaticano II”. Lettera pastorale al clero e al popolo della diocesi di Mazara del Vallo, Quaresima del 1962, 10-11.
Il Concilio ha il grande merito di avere elaborato, da una parte, una nuova ecclesiologia sulla Chiesa locale in comunione con la Chiesa universale e dall’altra la sacramentalità e la collegialità dell’episcopato in relazione alla Chiesa e non solo alla singola diocesi in cui si svolge il ministero.
I due vescovi mazaresi, esemplificando sulle problematiche che il Concilio Ecumenico Vaticano II dovrebbe trattare, elencano: l’abito con cui devono vestire i preti, il problema dell’abolizione del celibato ecclesiastico, l’accoglienza di coloro che “con eufemismo cristiano chiamiamo fratelli separati”, vista la scarsità del clero il ripristino dell’antico diaconato.[6]
Dalla lettera si coglie una presenza troppo pacifica della Chiesa, esclusa da tutte le problematiche che travagliavano il popolo di Dio; oltre a quello già detto sopra, non vengono indicate nessuna delle difficoltà che la Chiesa vive.[7]
Le difficoltà di salute di Mons. Gioacchino Di Leo e quelle di gestione interna della Chiesa diocesana impediscono di cogliere e di far proprie le problematiche sociali e culturali che si vivono in quel tempo.
Comunque, questa estraneità alla vita sociale e l’incapacità a vedere la gravità dei problemi che travagliano la società italiana del tempo sono diffuse, con qualche ammirevole eccezione, dentro l’episcopato siciliano:
«Una conferma ulteriore di questa estraneità ai problemi della società moderna o comunque l’incapacità a dare risposte a questi problemi, che non fossero solo un riproporre vecchie soluzioni di contenimento di fronte alla modernità incalzante nella società, sono le proposte, “consilia et vota”,che i Vescovi siciliani fecero pervenire alla commissione preparatoria del Concilio Vaticano II»[8]
Mons. Giuseppe Mancuso sin da quando è stato nominato vescovo coadiutore scrive dei messaggi alla Chiesa mazarese, ma quello che risulta strano è che, generalmente, non cita mai Giovanni XXIII e non parla dell’evento che in quel momento iniziava a sorprendere e ad entusiasmare la Chiesa: il Concilio; escluso una sola volta, per inciso, fa riferimento al Concilio e lo indica come una ulteriore norma da applicare.[9]
Troviamo, prima dell’inizio della seconda e della quarta sezione del Concilio Vaticano II, una breve comunicazione del Vescovo Giuseppe Mancuso, con la quale porta a conoscenza dei fedeli la volontà di Paolo VI di continuare il Concilio e invita alla preghiera per i Padri conciliari, non entrando, comunque, nel merito dei contenuti e dell’evento.
Nella comunicazione sulla quarta sezione del Concilio del 15 agosto del 1965, il Vescovo si domanda: «sarà questa l’ultima sezione del Concilio? Così ha detto il Papa e così è nel desiderio di tutti».[10]
[6] cfr. ibidem, 12-18
[7] Non è possibile consultare i bollettini diocesani in quanto forse durante l’episcopato di Mons. Di Leo è stato pubblicato in modo episodico. in Archivio diocesano si trovano rilegati insieme un numero del novembre del 1955, un numero di aprile 1957 e poi a partire dal 1960 in modo quasi completo.
[8] f.m. stabile, L’episcopato siciliano, in f. f. d’arcais (a cura di), La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, o.c., 215.
[9] cfr. Indirizzo del novello vescovo al clero e alla diocesi del 29 settembre 1962, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 8 (1962), 4-5; Esortazione al Clero e al Popolo per le vocazioni Ecclesiastiche e per il Seminario, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 9 (1962), 5-7; Esortazione del Vescovo coadiutore sulla Pasqua, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 4 (1963), 37-42; Appello per la giornata per le vocazioni ecclesiastiche, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 5 (1963), 53-55; Esortazione per la Pentecoste, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 6 (1963), 77-82; Esortazione Fraterna, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 7 (1963), 92-96; pubblicati come fascicoli da leggere in tutte le parrocchie: Messaggio Pasquale, del 24 marzo 1964; Esortazione Pastorale per la Festa di S. Pietro, del 29 giugno 1964.
[10] Cfr Seconda sezione del Concilio Vaticano II, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 8-9 (1963), 102; quarta sezione del Concilio Ecumenico, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 7-8 (1965), 168
Sin dal 1964, alcuni facevano circolava la voce che Paolo VI era propenso a chiudere, al più presto possibile, il Concilio per favorire il ritorno alla “normalità” di tutta la Chiesa e per venire incontro alle difficoltà dei Vescovi dei continenti più lontani e poveri costretti a rimanere lontani, per lunghi periodi, dalla propria diocesi.
«Altri ipotizzavano la possibilità di un lungo periodo di sosta, per favorire un’assimilazione del dibattito assembleare e qualche possibile sperimentazione, vista l’ampiezza e la complessità delle problematiche».[11]
Mons. G. Mancuso, nonostante sia stato nominato Vescovo quando già l’entusiasmo e le attese del Concilio attraversavano la Chiesa e la società, rimane fuori da questa prospettiva e forse non avrà mai la capacità di cogliere in pienezza la ricchezza dell’evento conciliare.
«È stato detto che questo Concilio avesse scopo pastorale. Realmente la sua nota dominante dall’inizio alla fine è stata la pastoralità; la ricerca cioè e l’approfondimento delle comunicazioni e della comunione della Chiesa con se stessa, con i cristiani, suoi membri fedeli. Comunione della Chiesa con i cristiani ancora separati, con gli uomini che l’ignorano e l’avversano. Il Concilio del recupero tanto desiderato dei non credenti, ai quali si possa proporre in termini più accessibili e più allettanti il messaggio di Cristo. … Cari confratelli e figli, sentiamo in questo momento grande e tremenda la responsabilità che ci impegna dinanzi a Dio alla chiesa e alle anime. Si tratta infatti, come dice il S. Padre, di disporre convenientemente l’animo dei fedeli ad accogliere le norme conciliari; si tratta di smuovere l’inerzia di molti, troppo restii ad abituarsi al nuovo corso; di trattenere gli intemperanti che potrebbero nuocere al sano rinnovamento della vita sociale della Chiesa, di mantenere entro i limiti segnati dalla legittima autorità le innovazioni; di istaurare in tutti lo spirito di fiducia verso i sacri Pastori e la piena obbedienza che è espressione di vero amore alla Chiesa e di garanzia di unità e di successo».[12]
La lunga citazione esprime bene la comprensione che il Vescovo ha del Concilio e le preoccupazioni che ha dentro di sè il Presidente emerito del Tribunale Siculo, come conseguenze delle innovazioni che il Concilio ha apportato.[13]
Il vento del Concilio, a Mazara del Vallo, stenta ad arrivare e ad affermarsi; l’evento in corso non entusiasma il Vescovo e non è oggetto delle sue indicazioni pastorali.[14]
La prima volta che Mons. G. Mancuso entra nel merito dei contenuti del Concilio lo fa nel messaggio alla diocesi su “Maria Immacolata madre della Chiesa”, del 8 dicembre 1964.
A conclusione di questa lettera, Mons. Mancuso riconosce al Concilio il merito di «avere approfondito lo studio dei rapporti di Maria con la Chiesa e di aver presentato una sintesi così vasta della dottrina cattolica circa il posto che Maria SS.ma occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa. … proclamandola Madre della Chiesa», e riporta la preghiera a Maria con la quale Paolo VI conclude la sua allocuzione per la chiusura della terza sezione conciliare.[15]
[11] cfr. g. alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II, o.c., 95-97.
[12] «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 12 (1965) 254-257.
[13] La preoccupazione di mettere in atto le norme che il Concilio doveva emanare era presente in molti Vescovi; cfr. mons. g. pullano, La nostra diocesi partecipe del grande avvenimento del Concilio Vaticano II, in «Bollettino della diocesi di Patti» 5 (1962), 114-117.
[14] Anche se non mancano nel Bollettino indicazioni di conferenze, offerte al clero o ai laici, sui temi o sui documenti del Concilio.
[15] Il Messaggio pubblicato come fascicolo si trova allegato alla raccolta del Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara del 1964.
La prima lettera pastorale sui contenuti del Concilio, dal titolo “Liturgia e Vita cristiana”, il Vescovo di Mazara del Vallo, la scrive il 4 aprile del 1965, dopo che «sono entrate in vigore la Costituzione sulla S. Liturgia e le relative norme di attuazione» .[16]
Nel ’66 Mons. G. Mancuso scrive alla Chiesa di Mazara del Vallo una lunga lettera pastorale, alla luce della GS, sul mondo del lavoro:
«Ci proponiamo di far conoscere a tutti, e soprattutto alle classi lavoratrici, le premure amorose, le attenzioni, le preoccupazioni e gli insegnamenti e le disposizioni della Chiesa del concilio per il vastissimo mondo del lavoro».[17]
[16] cfr. mons. g. mancuso, Liturgia e vita Cristiana, del 4 aprile 1965, in «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Mazara» 4 (1965), 85-98.
[17] cfr. mons. g. mancuso, Il Concilio per il mondo del lavoro, del 19 marzo 1966, tip.Célèbes, Trapani 1966, 1.
Don Giuseppe Alcamo