Il titolo di questa rilettura dei discorsi di San Giovanni Paolo II a Mazara del Vallo, a trent’anni dalla sua storica visita apostolica, mette in evidenza come Lui stesso si è presentato al Popolo di Dio, che lo ha accolto come successore dell’apostolo Pietro, per essere confermato nella fede: Missionario del Vangelo, Messaggero di Speranza, Pellegrino di Pace. Tre aspetti del ministero di Giovanni Paolo II che lo hanno spinto a mettersi in cammino tra i popoli per annunciare, confortare, esortare, consolare, richiamare, confermare tutti coloro che si riconoscono nella fede della Chiesa; e, per offrire una limpida testimonianza di amore all’umanità che Gesù Cristo ha rivelato con il suo incarnarsi e con il compimento del mistero pasquale. Noi, come Chiesa di Mazara del Vallo, siamo stati destinatari diretti e testimoni oculari di questo magnifico ministero petrino, di Colui che oggi invochiamo tra i santi della Chiesa. Giovanni Paolo II è venuto a confortare, rincuorare, spronare la Chiesa di Mazara del Vallo, perché era consapevole che il nostro territorio è ammalato di una malattia atavica e contagiosa, resistente nel tempo e dalle mille sfaccettature, la mafia: «Tuttavia anche qui, come altrove, si avvertono i segni dell’influenza della cultura mafiosa, di forze occulte e di una crisi che va investendo sempre più i cardini ideali ed etici della società. Germoglia infatti e cresce il seme della ingiustizia sociale, del disordine urbanistico ed ambientale, della disgregazione della famiglia, della droga, del degrado amministrativo e politico.» Mentre lo Stato e il Governo nazionale e locale devono combattere questa malvagia presenza attraverso norme e leggi esigenti e radicali e farli rispettare da tutti senza distinzioni, l’azione della 2 Chiesa è sostanzialmente diversa, combatte questa gramigna con la sua santità e con l’azione pastorale educativa. La nostra Chiesa locale, può arginare questa pericolosa presenza, superando le mediocrità e gli annacquamenti, escludendo le logiche mondane e gli stili carrieristici, e abbracciando la via della Croce. Dentro questo contesto sociale, mortificato dall’iniquità mafiosa in tutti i suoi aspetti, siamo chiamati ad essere santi ed educatori. Questo ci ha detto Giovanni Paolo II. Ci ricorda papa Francesco nella “Gaudete et exultate” che la santità è possibile per tutti, anche oggi, non cerca palcoscenici, non fa mai chiasso, non si impone con la forza, non è prepotente e arrogante, non si lascia intimidire, paga di persona. Il martirio di don Pino Puglisi e di Rosario Angelo Livatino, uccisi entrambi dagli uomini della mafia, perché, sostenuti dalla loro fede, svolgevano fino in fondo il loro dovere, in favore di un popolo che amavano, ne è una testimonianza esemplare. I morti ammazzati dalle mani mafiose sono tanti, veramente tanti, ma i beati Puglisi e Livatino pur essendo nel novero di questo triste elenco, per la Chiesa si distanziano da tutti gli altri, per la fede con cui hanno interpretato la loro vocazione e per la fedeltà quotidiana al Vangelo. I mafiosi non hanno inteso uccidere un prete e un giudice qualunque, ma quel Prete che incarnava in modo decisivo una scelta pastorale dal sapore educativo e uno stile di Chiesa incisivo in quel territorio; e, quel Giudice che in forza della sua fede non si lasciava intimorire e tanto meno corrompere dalla logica della prepotenza e dalla violenza senza scrupoli. Entrambi, con le loro diverse vocazioni, mostrano il volto di una Chiesa umile e disarmata, sinceramente protesa alla profezia, che mette a disagio il malvagio, che angustia il prepotente, che terrorizza i mafiosi, perché offre prospettive di liberazione e di civiltà e rifiuta privilegi e servitù. 3 La santità, quando è vissuta fino in fondo, fa prendere le distanze da tutto ciò che è disumano, che limita la vita dell’uomo, che la ferisce o impoverisce, che la corrompe o la rende opaca; mentre, sa valorizzare ed esaltare tutto ciò che umanizza l’uomo, che lo rende vero, buono, giusto. Questo stile di vita improntato alla santità, che è dono di Dio, si incarna nella storia e si esplicita nella concreta vita di ogni uomo che accoglie questo dono. Permettetemi di dire che, per non sciupare il dono della visita di San Giovanni Paolo II e per essere fedeli alla nostra vocazione ecclesiale, abbiamo bisogno di camminare insieme in questa direzione. In risposta alle autorità civili, che gli davano il benvenuto in questo lembo di terra bagnata dal mare Mediterraneo, Giovanni Paolo II dice: «In nome di Cristo, vi reco l’annuncio gioioso del Vangelo che è fermento di novità e di fraterna solidarietà. Il messaggio evangelico illumini le scelte della vostra Città, renda salda l’unità delle famiglie; incoraggi l’impegno dei giovani e apra il cuore di tutti all’accoglienza, al servizio verso i fratelli.» Il mare Mediterraneo, chiamato anche “mare nostrum” per la sua generosità o “lago di Galilea” per il suo ruolo simbolico, che divide e nello stesso tempo congiunge l’Africa e l’Europa, Giovanni Paolo II ci ha detto che merita rispetto, non può essere saccheggiato o inquinato e non può diventare teatro di conflitti o di egoismi nazionalistici. Oggi, a distanza di trent’anni, questo messaggio è quanto mai attuale, perché le situazioni che avvengono nel “nostro” mare sono ancora più drammatiche. Il Mediterraneo, la nostra ricchezza, oltre ad essere il luogo della fatica dei nostri marittimi, per il sostentamento delle loro famiglie e per l’economia dell’intera città, è diventato uno dei più grandi cimiteri dell’umanità. Ai difficili rapporti lavorativi con il Maghreb si è aggiunto il dramma di tutti coloro che fuggono dalla guerra, dalla povertà e dal non riconoscimento dei diritti primari dell’uomo. Una fuga che sovente si conclude con il naufragio o con un nostro rifiuto 4 all’accoglienza. Il “mare nostrum”, il “lago di Galilea” sta diventando sempre più, ogni giorno, il luogo della disperazione e delle tragedie umanitarie. Il “Pellegrino di pace” ricorda, a tutti coloro che lo ascoltano e che oggi lo rileggono, che la Chiesa di Mazara è collocata dalla provvidenza di Dio, in «un crocevia tra la civiltà europeo-cristiana e quella arabo-musulmana. Essa vive continuamente la sfida della tolleranza e del dialogo. Qui, il fenomeno dell’immigrazione africana è così consistente da assegnare alla vostra Città e Diocesi il primato della presenza straniera in rapporto alla popolazione residente, sì da comportare complessi problemi sociali, soprattutto riguardo al lavoro.» La pace è un dono da accogliere ma anche un impegno da assumere, educandoci tutti all’accoglienza, alla tolleranza e al rispetto reciproco, alla legalità e alla giustizia, all’ascolto e al dialogo fraterno, per valorizzare le ricchezze di cultura e di civiltà che nei secoli i diversi popoli hanno saputo elaborare. La pace è un processo fragile sempre in divenire, la pace è il fine comune da raggiungere, la pace è il mezzo per arrivare tutti alla stessa meta. Siamo tutti consapevoli che i fini pacifici si possono raggiungere solo con i mezzi pacifici. La guerra e i conflitti violenti non possono trovare nessuna giustificazione, perché con il dialogo civile e democratico tutte le situazioni possono essere affrontate e risolte; solo nel confronto e nel dialogo la civiltà della pace progredisce. Il Buon Dio ci ha fornito dell’intelligenza necessaria per poter vivere tutti insieme con la logica della fraternità. Alla Chiesa di Mazara del Vallo, Giovanni Paolo II chiede di maturare la consapevolezza evangelica di essere “Frontiera” di pace, aperta, accogliente, disponibile, facendo sentire tutti a casa loro, offrendo gratuitamente il balsamo della consolazione e del ristoro, ma anche una chiara ed inequivocabile testimonianza di fede: «la vostra Chiesa di frontiera ha rappresentato e continua a rappresentare il 5 naturale punto di contatto e di dialogo fra mondo cristiano e mondo musulmano, fornendo notevole contributo ad una cultura di tolleranza e di pace.» Il “Messaggero di speranza”, pur conoscendo le nostre fragilità storiche e sociali, civili ed ecclesiali, ci invita a “discernere i segni dei tempi, rimanendo sempre fedeli all’intramontabile verità del Vangelo”. Dobbiamo imparare a leggere e a saper comprendere il modo come Dio continua a parlare all’umanità, attraverso gli eventi e le situazioni più diverse. I segni dei tempi sono il linguaggio di Dio dentro la storia attuale, chiedono alla Chiesa coraggio, discernimento, decisioni. Ai ministri ordinati, Giovanni Paolo II prospetta come ministero il campo dell’azione educativa e li esorta a non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà che il contesto sociale presenta: «Il vostro ministero non è certo facile: esso a volte si trova a dover contrastare una mentalità mafiosa, ispiratrice di atteggiamenti che rappresentano sfide poderose per la vostra attività pastorale. Sappiate essere per loro (i giovani) degli autentici pedagoghi, in grado di aiutare le loro personalità in via di maturazione a scoprire dentro di sé la verità e la libertà del progetto di Dio.» A noi presbiteri indica la missione educativa come un imperativo, che accompagni nella crescita le nuove generazioni: sappiate essere per loro degli autentici pedagoghi. Educare significa aiutare un uomo a diventare uomo, trasmettendo, comunicando e testimoniando in modo credibile ed efficace, ragioni per vivere, in maniera significativa; rendere l’uomo consapevole della ricchezza delle sue potenzialità e del bisogno che il mondo ha della sua presenza. Per la Chiesa, educare vuol dire affinare l’udito e la vista dell’uomo per porlo in ascolto dell’inaudito, per permettergli di vedere oltre l’orizzonte, per aprirlo ad una rinnovata fiducia che non si fonda sulle sue, o altrui, capacità, ma sulla presenza reale ed efficace di Dio nella sua vita, offrirgli un sano realismo che non lo schiacci con le difficoltà del quotidiano, ma che lo stimoli ad andare oltre per un progetto di vita che non è circoscritto al solo tempo presente. 6 L’idea di Chiesa che Giovanni Paolo II ci ha indicato è veramente bella, inedita e ampia: una Chiesa di frontiera che accoglie fraternamente quanti arrivano per vari motivi; una comunità ecclesiale che si pone a servizio dei giovani, educando con passione verso la pienezza della vita e aprendo al trascendente, con uno stile di vita che renda visibile la comunione. Così ci ha esortati Giovanni Paolo II: «Proseguitelo generosamente in comunione d’intenti e di cuore con il vostro Vescovo, operando con piena disponibilità per i comuni obiettivi pastorali della Comunità diocesana.» Con i suoi discorsi San Giovanni Paolo II ci ha prospettato una Chiesa in cammino, che accoglie e che educa. Con Papa Francesco potremmo dire “una Chiesa sinodale”, che fa della sua formazione permanente uno dei punti fermi della sua struttura: «La formazione, carissimi Fratelli e Sorelle, è per tutti uno sforzo costante che vi deve accompagnare lungo l’intera esistenza, rendendovi sempre pronti a rispondere alle numerose sfide dell’attuale momento storico. Una formazione che si basi essenzialmente sull’orazione e sulla carità, autentico amore per il Signore e dono gratuito di sé agli altri.» Carissimi fratelli e sorelle, mi sto inserendo dentro la ricca storia della santa Chiesa di Mazara del Vallo e faccio mie le parole conclusive del Santo Papa: «Carissimi Fratelli e Sorelle, il Signore cammina con voi. Non siete soli; non sentitevi soli. Stretti a Cristo, consacratevi interamente alla costruzione del suo tempio santo. I frutti abbondanti della sua misericordia premieranno, allora, i vostri sforzi e sperimenterete in misura sorprendente la gioia della comunione nell’unica fede. Riprendete con lena rinnovata un itinerario pastorale e missionario, caratterizzato da generosa carità e solidale fratellanza.»
Invocando la protezione di San Giovanni Paolo II su tutti voi, vi benedico e vi assicuro la mia preghiera.
Angelo