Capita spesso che in costanza di matrimonio i coniugi aprano un conto corrente cointestato per gestire insieme le entrate e le uscite finanziarie familiari.
Tuttavia, il conto corrente cointestato in caso di separazione può diventare un campo minato di dispute, specie, se durante la crisi matrimoniale, uno dei due coniugi, decida di prelevare la totalità o una parte del saldo del conto.
In via generale si presume che il denaro su un conto cointestato sia di proprietà di entrambi i titolari in parti uguali.
Ciononostante, ogni coniuge ha l’opportunità di contestare questa presunzione, dimostrando che ha contribuito al saldo del conto in una misura superiore al 50% o addirittura in maniera esclusiva.
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 9197 del 2023 ha precisato che quando il denaro presente sul conto corrente cointestato è di proprietà di uno solo dei coniugi, l’altro coniuge pur potendo formalmente prelevare il 50% delle somme residue, sarà obbligato alla restituzione di quanto prelevato qualora ne venga richiesto.
Difatti, sempre secondo la Corte di Cassazione, la cointestazione di somme depositate presso un istituto di credito costituisce donazione indiretta solo quando viene verificata l’esistenza dell’animus donandi; pertanto, ai fini della configurabilità di una donazione indiretta si dovrà dimostrare che il proprietario del denaro, al momento della cointestazione, aveva quale unico scopo quello della liberalità (ossia della donazione in favore dell’altro).
In conclusione, se le somme presenti sul conto cointestato provengono da entrambi i coniugi, al monento della separazione ciascuno avrà il diritto di prelevare il 50%.
In caso contrario, ossia, se il denaro proviene unicamente da uno dei due coniugi, qualora l’altro prelevi il 50%, potrebbe essere chiamato a restituire quanto prelevato, salva la dimostrazione dell’animus donandi in suo favore.”
Avv. Giuseppina Gilda Ferrantello