Dovrà scontare 20 anni di reclusione, dei quali 4 già trascorsi in carcere, Giovanni Trotta, ex sacerdote di 57 anni di Foggia, per aver abusato sessualmente di almeno 10 bambini, di età compresa tra gli 11 e i 13 anni. A lui sono stati contestati i reati di violenza sessuale aggravata, produzione e diffusione di materiale pedopornografico e adescamento di minori. I fatti si sarebbero svolti nel 2014. La pena è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bari, che ha sottolineato la responsabilità dell’uomo, già condannato in primo grado a 18 anni di reclusione dal Tribunale di Foggia per abusi su nove bambini, aumentata poi a 20 anni e 150mila euro di multa perché è stato riconosciuto il vincolo della continuazione con una precedente condanna definitiva a 6 anni inflitta dal gup di Bari con il rito abbreviato per abusi su un altro 11enne. Indagando sul primo singolo caso gli investigatori della Polizia postale, coordinati dai pm di Bari Simona Filoni e Domenico Minardi, scoprirono gli altri episodi.
Don Trotta, in carcere dal 2015, è stato ridotto allo stato laicale nel 2012 “per gravi crimini contro l’infanzia”: avrebbe, infatti, violentato per mesi sei minori affidati alla sua custodia in quanto dirigente e allenatore della squadra di calcio frequentata dai bambini, nella provincia di Foggia, e loro insegnante di doposcuola. Dei minori avrebbe abusato nella sua abitazione singolarmente o in gruppo, fotografandoli anche durante gli atti sessuali. È stato anche condannato per pornografia minorile e divulgazione di materiale pornografico e adescamento di altri quattro 12enni attraverso le chat di Whatsapp e Facebook. Agli atti del processo ci sono le testimonianze dei minori, foto e messaggi, ma, hanno evidenziato gli inquirenti, “nessuna denuncia è mai stata formulata dalla società sportiva che, nel novembre 2014, lo aveva allontanato”. Neppure la Chiesa fece nulla per impedire che Trotta continuasse ad abusare dei minori: il gup di Bari, che per primo ha giudicato Trotta, sottolineò “l’atteggiamento superficiale tenuto dalle locali autorità religiose, anche dopo la riduzione allo stato laicale, che hanno sempre mantenuto assoluto silenzio, consentendogli addirittura di continuare ad indossare il clergy e a farsi chiamare don Gianni, così permettendo all’imputato di continuare impunemente a frequentare minori e a farne oggetto delle sue abominevoli perversioni”.
(Fonte: Fanpage.it)