“Dio ha detto: non uccidere. Non può l’uomo, nessuna umana agglomerazione, mafia, calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, che ama la vita e dà la vita, non può vivere oppresso sotto la pressione di una civiltà contraria, la civiltà della morte. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio”. Quel dito puntato in alto, la voce forte, vibrante, segnavano un punto di non ritorno per la Chiesa. Un grido pronunciato il 9 maggio di 25 anni fa da papa Giovanni Paolo II, stringendo saldamente la croce, e che scosse la Valle dei templi, invasa da migliaia di pellegrini, soprattutto giovani, giunti da tutta la Sicilia e che nella notte avevano marciato da Porto Empedocle ad Agrigento.
Un anno prima c’erano state le stragi di Capaci e via D’Amelio, lo stesso territorio di Agrigento era stato funestato da una serie di delitti di mafia, come quella che ebbe come vittima il magistrato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”. Poi arrivarono gli attentati alle basiliche romane. E il 15 settembre 1993 fu ucciso a Brancaccio padre Pino Puglisi: quasi la risposta della mafia stragista, quella dei boss Graviano, che non ammettevano interferenze nella loro volontà di dominio e controllo del territorio, all’anatema di Wojtyla e della Chiesa.
Oggi pomeriggio, con una lettera e una solenne concelebrazione alle 18, ai piedi del Tempio della Concordia, i vescovi siciliani ricordano e rinnovano quel grido. “Un appello per la conversione rivolto agli uomini e alle donne della mafia”, spiega l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, nella cui vasta diocesi è ricompresa Corleone, autore di molteplici interventi contro la mafia. “Oggi Cosa nostra non agisce in maniera eclatante come un tempo – aggiunge – ma forte è la sua presenza nell’esercizio del potere e nell’economia. E poi esiste una cultura mafiosa diffusa che dobbiamo contrastare”.
Venticinque anni fa, accanto a Wojtyla nella Valle dei templi, c’era l’arcivescovo di Agrigento, Carmelo Ferraro, che oggi nel suo “ritiro” di Punta Braccetto, nel Ragusano, ricorda quel giorno entrato nella Storia. “Il Papa ci parlò da cuore a cuore usando una voce talmente forte da trasformare in un grido quel suo invito alla conversione. Il Papa aveva quel giorno, come noi, il cuore ferito. Dopo l’incontro con i giovani allo stadio, che era stato ricco di suggestioni e di entusiasmo e con una partecipazione straordinaria e nel quale aveva invitato i giovani a rialzarsi, tornammo in vescovado e, prima della messa alla Valle dei templi, favorii un incontro con i genitori del giudice Livatino e con i familiari del giudice Saetta, uccisi dalla mafia, sperando che quell’incontro portasse loro un po’ di conforto”.
“Quell’invito alla conversione – aggiunge monsignor Ferraro – rivolto ai mafiosi, quel grido gli sgorgò dal cuore. Parlò con una voce calibrata e talmente forte da far sembrare che tutto fosse ben congegnato e, invece, proveniva dal profondo del cuore, frutto forse anche dell’emozione forte che aveva provato durante l’incontro con i genitori del giudice Livatino nel palazzo arcivescovile. La mafia si vendicò poi con le bombe a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro e con l’uccisione di don Pino Puglisi. Era probabilmente il segno che il grido del Papa aveva fatto breccia”.
(Fonte: Gds.it)