I carabinieri del Ros hanno arrestato con l’accusa di associazione mafiosa Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che avrebbe prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
Oltre a consegnare all’ex latitante la sua carta di identità per consentirgli di ottenere un falso documento e a dargli la tessera sanitaria necessaria per le terapie e le visite mediche alle quali il boss doveva sottoporsi, Bonafede ha acquistato – per sua stessa ammissione – la casa di Campobello di Mazara in cui Messina Denaro ha trascorso l’ultimo periodo della latitanza, gli ha dato il bancomat permettendogli di fare delle spese, gli ha fatto comprare la Giulietta sulla quale viaggiava. La macchina, acquistata un anno fa personalmente dal padrino in una concessionaria di Palermo, formalmente era intestata alla madre di Bonafede. E sempre alla madre del geometra, una disabile di 87 anni, era intestata la Fiat 500 data in permuta per l’acquisto della Giulietta.
BONAFEDE ARRESTATO: PER IL GIP «HA PERMESSO A MESSINA DENARO DI CONTINUARE A DIRIGERE IL CLAN MAFIOSO»
Ha cercato di minimizzare il suo ruolo sostenendo di aver visto il boss Matteo Messina Denaro due volte e solo di recente. Mezze ammissioni, molte bugie quelle di Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato l’identità al boss e che oggi è stato arrestato. Ne è certo il gip Alfredo Montalto che nella misura cautelare scrive: «Messina Denaro ebbe a usare l’identità fornitagli da Bonafede (se non dal mese di luglio 2020 quando ebbe ad acquistare, a nome della madre ultraottantenne, un’autovettura verosimilmente utilizzata dal Messina Denaro, come si ricava dalla circostanza che la stessa autovettura è stata successivamente data in permuta per l’acquisto di altra autovettura in questo caso sicuramente utilizzata dal Messina Denaro, che, infatti, era in possesso delle relative chiavi) certamente già in occasione del primo intervento chirurgico, subito il 13 novembre 2020».
Risulta smentito, dunque, quanto raccontato dal geometra che ha riferito agli inquirenti di avere incontrato l’ex latitante solo nel 2022. «Non è, inoltre, di certo minimamente credibile – prosegue il gip – che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia, che pure, come dimostrato dalle innumerevoli indagini di questi anni finalizzate alla sua cattura ha potuto sempre disporre di un’attentissima ed ampia cerchia di soggetti che gli hanno consentito di proseguire la sua latitanza e nel contempo le sua attività di direzione dell’associazione mafiosa cosa nostra quanto meno nell’intera provincia di Trapani, si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie (con conseguente elevato rischio di essere individuato come in effetti è poi avvenuto il 16 gennaio 2023), oltre che per acquistare l’immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all’arresto ha poi dimorato».
«L’esperienza dell’arresto di tutti i più importanti latitanti di Cosa nostra – spiega il giudice – peraltro, insegna che i soggetti di vertice di tale organizzazione, per evidenti ragioni di sicurezza personale, tendono ad escludere dalla conoscenza del covo ove da latitanti si rifugiano persino la gran parte degli associati mafiosi, limitando, piuttosto, tale conoscenza ad una cerchia più ristretta e più fedele di coassociati». Bonafede sarebbe un uomo d’onore riservato. «Si è in presenza, in sostanza, sia pure, in termini di gravità indiziaria di un’affiliazione verosimilmente riservata di Bonafede per volontà del Messina Denaro», si legge nel provvedimento.
Andrea Bonafede, scrive il gip Alfredo Montalto nella misura cautelare disposta a suo carico, su richiesta del pm della Dda Piero Padova, «ha, in concreto, fornito un apporto di non certo secondaria importanza per le dinamiche criminose dell’associazione mafiosa della provincia di Trapani, avendo così consentito a Messina Denaro, non soltanto di mantenere la sua latitanza, ma soprattutto, anche mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il ruolo direttivo dell’organizzazione mafiosa».
Fonte: Gds.it