Il killer di Vienna Kujtim Fejzulai, ucciso dalla polizia dopo gli attacchi compiuti in vari punti della capitale austriaca, aveva già alle spalle una condanna per terrorismo ma, a fine 2019, era riuscito ad ottenere la scarcerazione con un falso pentimento. In tribunale, scrive La Repubblica, aveva raccontato di essere pentito: “Ho fatto un grosso errore, non era mia intenzione andare in Siria”. E il giudice gli aveva creduto, rimettendolo in libertà.
La Siria Fejzulai, nato e cresciuto a Vienna, doppio passaporto austriaco e macedone, era tra gli almeno 90 islamisti austriaci che hanno tentato di raggiungere la Siria per unirsi all’Isis. Ad Hatay, nel sud-est della Turchia, sarebbe entrato in contatto con almeno due jihadisti tedeschi e uno belga.
Il carcere A chiedere aiuto gli investigatori era stata anche la madre, denunciandone la scomparsa. Fermato dalla polizia di Ankara, venne rispedito in patria e incarcerato. Condannato a 22 mesi nell’aprile del 2019, dalla prigione era però uscito in anticipo, il 5 dicembre 2019, grazie alla buona condotta e a un regime privilegiato per il reinserimento sociale dei giovani.
L’inganno “E’ riuscito a ingannare il programma di de-radicalizzazione e le persone che lo gestiscono”, ha spiegato il ministro dell’Interno austriaco, Karl Nehammer. Una beffa per i servizi d’intelligence, visto che solo pochi giorni fa Fejzuali si era mostrato su Facebook in una foto con l’arma automatica e il machete usati durante l’attacco.
La moschea “Veniva da una famiglia assolutamente normale. Per me si tratta di un giovane che è finito in un giro di amici sbagliati”, ha detto l’avvocato Nikolaus Rast, che l’aveva difeso al processo. “Se non avesse frequentato la moschea e avesse fatto per esempio boxe – ha aggiunto il legale -, sarebbe diventato un pugile. Non avrei mai ritenuto possibile che commettesse un attentato”.
Le origini Adesso, i riflettori vengono puntati sulle sue origini balcaniche. La famiglia proviene dalla minoranza albanese di religione musulmana della Macedonia del Nord, che tradizionalmente pratica una versione moderata dell’islam. Ma negli ultimi anni anche a Skopje è esplosa l’emergenza radicalizzazione, con la diffusione di gruppi salafiti sempre più influenti, riuniti spesso in moschee parallele a quelle ufficiali in abitazioni private e fuori dal controllo delle autorità.
I complici Un terreno di coltura che sfrutta finanziamenti dall’estero, favorendo il proselitismo con forme di welfare sotterraneo. Nell’area dei Balcani, è diventato il territorio con il più alto tasso di foreign fighter jihadisti in rapporto alla popolazione musulmana, con circa 150 combattenti partiti per unirsi al sedicente Stato islamico, spesso portandosi dietro mogli e figli. La metà di loro è poi rientrata in patria, alimentando una fucina di potenziali terroristi indigeni. E proprio lì potrebbero trovarsi alcune reti di complici del killer, su cui la polizia austriaca sta ora cercando di fare luce.
Fonte: Tgcom24.mediaset.it