1. Innanzitutto, la celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dalle pubblicazioni con affissione per otto giorni consecutivi oltre che alle porte della chiesa parrocchiale anche al comune di residenza (ormai sul sito dell’albo pretorio on line) di un avviso recante tutte le informazioni necessarie per l’individuazione gli sposi.
2. la lettura degli artt. 143, 144 e 147 cod. civ. effettuata dal celebrante agli sposi al termine del rito nuziale, affinché gli stessi abbiano opportuna informazione circa i diritti e i doveri coniugali, così come disciplinati dalla legislazione statale.
3. Infine, il celebrante provvede alla compilazione dell’atto di matrimonio in doppio originale (uno resta all’archivio parrocchiale), trasmettendone uno, entro 5 giorni, all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato celebrato, affinché provveda, nelle successive 24 ore, alla trascrizione nei registri dello stato civile. La trascrizione ha efficacia costitutiva degli effetti civili del matrimonio religioso. In tale atto i coniugi possono – all’occorrenza – inserire le seguenti specifiche dichiarazioni, che parimenti acquisteranno efficacia giuridica nell’ordinamento statale a decorrere dallo stesso giorno della celebrazione: a) la scelta del regime di separazione dei beni; b) il riconoscimento, da parte di taluno di essi, di eventuali figli nati fuori dal matrimonio.
Se nell’atto di matrimonio non si dichiara nulla il regime patrimoniale automatico sarà quello della comunione dei beni nel quale i beni acquistati dopo il matrimonio sono di proprietà del 50% per ciascun coniuge (risparmi, redditi personali, aziende) mentre tutto ciò che uno dei coniugi ha già acquistato prima del matrimonio resta personale.
Non cadono in comunione i beni acquistati per donazione o per successione che restano dunque del coniuge che li ha ricevuti.
Ci sono anche altre eccezioni alla regola: ad esempio, non diventano comuni i beni di uso strettamente personale (es. abbigliamento) e quelli utilizzati da un coniuge per svolgere la sua attività lavorativa (es. computer).
Invece la separazione dei beni è il regime patrimoniale della famiglia che va espressamente scelto se si vuole venga applicato, in virtù del quale ciascun coniuge conserva la titolarità esclusiva dei beni acquistati sia prima che durante il matrimonio e li amministra e ne dispone senza il bisogno del consenso dell’altro.
La separazione dei beni non ha nulla a che vedere con la separazione personale consensuale o giudiziale e non incide in alcuno modo su i diritti (anche ereditari) del coniuge.
In caso di separazione dei beni, ogni coniuge è responsabile dei propri debiti di cui risponde personalmente.
La separazione dei beni opera solo in presenza di apposita scelta in tal senso da parte dei coniugi che può essere avvenire in due modi:
– al momento del matrimonio, mediante dichiarazione inserita nell’atto di celebrazione del matrimonio;
– in qualsiasi momento successivo al matrimonio, mediante la stipula di una convenzione matrimoniale (un vero e proprio contratto) per atto pubblico davanti ad un notaio.
Al termine del rito nuziale il celebrante da’ lettura agli sposi dei seguenti articoli del codice civile:
Art. 143 – Diritti e doveri reciproci dei coniugi.
“Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco:
alla di fedeltà: il coniuge deve essere fedele all’altro e l’infedeltà è riferita non soltanto alla relazione sessuale, ma anche a qualsiasi tipo di relazione sentimentale (anche virtuale) con altra persona;
all’assistenza morale e materiale: il coniuge deve sostenere “moralmente” l’altro, ovvero, incoraggiarlo, sostenerlo, aiutarlo e rispettarlo ed è tenuto a farlo anche “materialmente” cioè contribuendo in concreto alle esigenze materiali di cui ha bisogno;
alla collaborazione nell’interesse della famiglia: ciascun coniuge deve contribuire alle spese della famiglia in relazione alla propria capacità di lavoro e personale, si tratta di un reciproco mantenimento della famiglia (il lavoro professionale ed il lavoro casalingo di chi, seppur non apportando reddito alla famiglia, provvede alle faccende domestiche, sono posti sullo stesso piano).
alla coabitazione: consiste nell’obbligo di vivere sotto lo stesso tetto, dopo aver fissato la residenza.
Art. 144 – Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia
“I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato”.
Proprio perché il marito e la moglie sono ormai posti su un profilo di assoluta parità la modalità di scegliere come e dove vivere va concordata tra i coniugi e non sono ammesse prevaricazioni o posizioni di supremazia.
Art. 147- Doveri verso i figli
“Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis. (e cioè in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro)”.
Questo è un dovere che non sorge tra marito e moglie, ma diversamente in capo a entrambi nei confronti dei figli ed è l’unico dovere che non viene meno neppure in caso di scioglimento del matrimonio.
Infatti, entrambi hanno il medesimo obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, in relazione alla propria capacità.
Il mantenimento è dovuto fino a quando il figlio non sia autonomo economicamente o abbia raggiunto l’età da potere provvedere comunque a se stesso.
Se un genitore non ha i mezzi sufficienti per farlo sono tenuti gli ascendenti in un certo ordine (art. 148 e 316 bis)>>.