Cos’è la convivenza more uxorio? Con questa espressione viene definito il rapporto affettivo e amoroso che lega due persone in comunione di vita.
Per le cosiddette coppie di fatto, è stata fondamentale – dopo la sentenza del 1993 della Suprema Corte di Cassazione che dichiarava che convivere non era immorale né contrastava con l’ordine pubblico – quella legge che è passata alla storia come Legge Cirinnà dal nome della senatrice Monica Cirinnà che la propose. Di fatto, si tratta della legge n.76 del 2016.
Tra gli aspetti che tale legge ha precisato c’è il fatto che riconosce che conviventi di fatto sono due persone maggiorenni unite da legami affettivi di coppia (pertanto non parenti né affini) indipendentemente dal sesso e dalle loro inclinazioni sessuali. Due persone che, ovviamente, non hanno né contratto matrimonio né sono legate da un’unione civile.
Cosa succede se uno dei due si ammala
Altro aspetto importante della convivenza more uxorio sono i diritti che riconosce ai conviventi. Diritti che, in passato, non erano affatto garantiti. Vediamo quali sono.
Il compagno/a ha il diritto di visita nonché di assistenza e può avere accesso alle informazioni su diagnosi, prognosi, eventuale intervento medico, oltre a potere chiedere una copia della cartella clinica ed essere designato come rappresentante nel caso sia necessario un trattamento chirurgico o debbano essere donati organi. Inoltre, può decidere le modalità di trattamento del corpo e come celebrare i funerali.
E ancora: può essere inserito tra i soggetti indicati nella domanda di interdizione o inabilitazione ed essere nominato tutore qualora il compagno/a venga interdetto.
Diritti che possono apparire scontati se si pensa al matrimonio, ma considera che fino a quando non è entrata in vigore la Legge Cirinnà, a decidere della salute e della vita del compagno/a potevano essere solo i genitori e il convivente non aveva nessuna voce in capitolo, nonostante fosse la persona più vicina.
Convivenza more uxorio: la residenza
La Legge Cirinnà interviene anche per definire la situazione relativa alla casa della coppia. Va da sé che se la casa in cui si vive è di proprietà di uno dei due, l’altro non può accampare, se non ci sono figli, nessun diritto fin quando la persona è in vita. Il convivente non proprietario viene pertanto ritenuto un “ospite”, anche se, in caso di separazione, non può essere cacciato da un momento all’altro, ma deve avere il tempo di trovare una nuova sistemazione.
Cosa succede invece se in caso di morte del proprietario? In tal caso, l’altro subentra con un contratto di affitto. Mantiene, infatti, un diritto all’abitazione che è proporzionale al periodo di convivenza e che va da un minimo di 2 anni a un massimo di 5.
La situazione invece cambia se ci sono dei figli minorenni o dei disabili: in entrambi i casi il convivente può restare per un periodo non inferiore ai 3 anni. Comunque sia, non eredita la casa – come avviene per il matrimonio – a meno che non ci siano disposizioni in proposito all’interno di un eventuale testamento. Ci sono però da notare alcune cose.
La Corte di Cassazione in una sentenza, n.19423 del 2014, si è espressa sul fatto che chi vive in una casa anche se non è di proprietà non è esattamente un ospite ma un membro della famiglia. Questo significa che non può essere estromesso né in maniera violenta né clandestina, anzi qualora questo avvenisse può avanzare la tutela possessoria e pretendere, anche per vie legali di non essere mandato subito via.
E se invece ci sono figli? In tal caso, la casa viene assegnata al convivente superstite che potrà viverci fino a che i figli non saranno indipendenti dal punto di vista economico. Per la Legge, per altro, non c’è differenza tra i figli nati dentro una convivenza more uxorio rispetto a quelli nati dentro il matrimonio.
ll mantenimento
E se i due si separano? Intanto, c’è da dire che nessuno dei due può pretendere un assegno di mantenimento, cosa che per l’appunto non è prevista per questo tipo di convivenza, a meno che non ci sia una situazione particolarmente delicata cioè che uno dei due versa in condizioni di necessità economiche. In tal caso, l’ex convivente è tenuto a “passare gli alimenti” per un tempo che è uguale alla durata della convivenza.
I figli
Cosa succede se la coppia ha dei figli? Se non c’è accordo per l’affidamento, i genitori dovranno rivolgersi al Tribunale che ovviamente dovrà tutelare il minore e stabilire il diritto di visita, l’assegno di mantenimento e l’affidamento e l’assegnazione della casa familiare.
Che, con tutta probabilità, onde evitare troppi sconvolgimenti, sarà quella dove il figlio è vissuto fino al momento della separazione. Cosa che la Legge tende a precisare: il figlio dovrà mantenere un rapporto adeguato con il genitore da cui viene separato.
A chi vanno i beni una volta cessata la convivenza?
La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ha confermato la condanna di una donna, al termine di una lunga convivenza more uxorio, alla restituzione degli arredi ed oggetti personali dell’ex compagno, che erano rimasti nella casa familiare dopo che quest’ultimo se ne era allontanato.
Nel caso di specie difatti, la Corte di merito aveva correttamente ritenuto provata la titolarità dei beni in capo all’uomo, in base alle dichiarazioni dei testi ed all’interrogatorio formale della stessa donna, che si era altresì rifiutata di prestare giuramento suppletorio, deferitole proprio al fine di specificare la titolarità dei beni chiesti in restituzione.
E a nulla rileva – sempre secondo i giudici di merito – il fatto che la casa familiare fosse stata assegnata alla signora in quanto affidataria dei figli, atteso che il giudice della separazione si era limitato a disporre l’assegnazione dei beni strettamente connessi alla necessità dei minori.
Come provare la convivenza more uxorio
Tutto quello che abbiamo detto finora, però, non è scontato. La Legge Cirinnà, tra le novità, ha anche il fatto che per comprovare la convivenza è possibile fare una autodichiarazione al comune di residenza. Quel che conta è che sia sottoscritta da entrambi i conviventi e corredata da un documento di identità.
Tale registrazione è obbligatoria? No, non lo è, è però una prova di quando la convivenza è iniziata e può essere una prova nel caso si debbano far valere determinati diritti. C’è da dire che, invece dell’autocertificazione, una registrazione nello stesso stato di famiglia può essere una prova comunque valida.”
Avv. Giuseppina Gilda Ferrantello – Diritto di Famiglia