Con il termine “autolesionismo” si indicano tutti quei comportamenti deliberatamente orientati al provocarsi dolore fisico; non hanno a che fare necessariamente con tentativi di suicidio o desiderio di togliersi la vita, ma includono, ad esempio, il tagliarsi la pelle con diversi tipi di oggetti affilati, l’infliggersi bruciature e marchiarsi con sigarette o oggetti roventi.
Le condotte autolesive possono avere diverse funzioni: possono rappresentare infatti strategie per affrontare il proprio disagio emotivo (seppur in modo disadattativo), rappresentare forme di punizione oppure evidenziare una richiesta di attenzione.
Nel primo caso la messa in atto di autolesionismo consente di focalizzare la propria attenzione sul dolore fisico, consentendo un qualche modo di uscire da uno stato percepito di profondo vuoto per riconnettersi alla realtà, gestendo stati emotivi spiacevoli percepiti come altrimenti non maneggiabili.
Il comportamento autolesionistico sposta così l’attenzione dal dolore emotivo a quello fisico, vissuto come più tollerabile.
Il dolore fisico in un primo momento allenta la tensione, generando sollievo, e allontana da esperienze emotive che non si vogliono sperimentare; nel tempo però ciò rischia di generare nuove esperienze emotive spiacevoli, quali colpa e vergogna per aver messo in atto il comportamento.
L’efficacia dell’autolesionismo, in relazione ad entrambe le funzioni descritte, aumenta la possibilità di rimetterlo nuovamente in atto, e quindi favorisce l’instaurarsi di circoli viziosi che mantengono il problema nel tempo.
L’autolesionismo può rappresentare anche una forma di auto-punizione: il senso di colpa e l’autocritica possono elicitare condotte autolesive in soggetti vulnerabili.
In ultima ipotesi, il comportamento autolesionistico può rappresentare una modalità disfunzionale attraverso la quale ricercare attenzione, richiedere aiuto o comunicare agli altri il proprio disagio: può interpretarli così come un gesto estremo utilizzato al fine di urlare al mondo la propria esistenza/presenza e la sofferenza che non si è in grado di comunicare a parole.
Dott.ssa Alessia Zappavigna -Psicologa