Le ultime misure di contenimento del Covid-19 prevedono, tra le altre, la chiusura delle scuole in alcune regioni, permettendo la didattica in presenza ai soli bambini con disabilità o con “Bes”. Mentre dei primi siamo abituati a sentire parlare, della seconda categoria poco ancora si conosce e non è raro che si crei confusione anche tra gli stessi genitori. Cosa si intende allora con la sigla “BES”?
BES è l’acronimo che indica i Bisogni Educativi Speciali, cioè quelle particolari esigenze educative tipiche di alcuni alunni che hanno bisogno di un supporto adeguato e personalizzato rispetto alle loro condizioni fisiche, biologiche, fisiologiche, psicologiche e sociali. Nei BES rientrano tre grandi categorie di alunni:
-gli alunni con disabilità (tutelati dalla Legge n. 104 del 1992);
-i bambini con disturbi evolutivi specifici (tutelati dalla Legge 170 del 2010, che includono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, il borderline cognitivo);
-gli alunni che risentono di svantaggi di tipo socioeconomico, linguistico o culturale.
Inoltre, fanno parte dei BES anche i disturbi dell’apprendimento non specifici (esempio: quelli dovuti a sordità, epilessia, sindrome di Down, ipotiroidismo, …), i disturbi dell’umore e di ansia, gli alunni plusdotati intellettivamente (cioè coloro i quali manifestano abilita’ al di sopra della media, in alcuni ambiti, e difficoltà più o meno importanti in altre aree).
Tutti gli studenti che ricadono nella categoria dei Bisogni Educativi Speciali sono tutelati dalla Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 e le successive circolari ministeriali: tale direttiva sottolinea che questa tipologia di alunni necessita di percorsi e supporti personalizzati che gli permettano di accedere al mondo scolastico tenendo conto delle loro specifiche difficoltà.
Pensiamo ad esempio ai tanti bambini stranieri che vivono o nascono in Italia e che in casa si ritrovano a parlare la lingua del paese di origine dei genitori mentre a scuola sono esposti alla lingua italiana che conoscono male o, in alcuni casi, che ignorano: questi alunni non si trovano in una condizione di parità rispetto ai bambini nati, cresciuti in Italia e vissuti in mezzo a persone che hanno sempre parlato la lingua italiana, per cui necessitano di percorsi individualizzati (come corsi di lingua italiana, nella sua forma scritta e parlata), in modo che le loro origini linguistiche non costituiscano per loro uno svantaggio.
Dott.ssa Alessia Zappavigna -Psicologa