Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo è stato inserito nella nomenclatura psichiatrica nel 2013, con la pubblicazione del DMS-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione): si tratta di un passo molto importante per i pazienti che ne soffrono e per le loro famiglie, dal momento che assegnare un nome ad una diagnosi implica che la condizione può essere trattata e c’è una cura.
L’ARFID viene definito come un modello alimentare limitato nella varietà (ossia evitamento di alimenti specifici) e/o nel volume (ossia limitazione della quantità) associato a conseguenze mediche e psicosociali. Le persone con ARFID nascono con una predisposizione biologica e/o hanno sperimentato un evento traumatico legato al cibo (come un episodio di soffocamento): alcune di loro riusciranno a sviluppare comportamenti più adattativi grazie a fattori legati alla personalità (ad es. apertura a provare nuove esperienze) o all’ambiente (ad es. che a loro siano presentati ripetutamente nuovi alimenti durante l’infanzia), mentre per altre la predisposizione diventerà cronica, causando problemi nutrizionali, di peso, e psicosociali (come evitare le situazioni in cui il momento del pasto è condiviso con altri). Una volta radicato, lo schema di evitamento alimentare può diventare di lunga durata ed essere altamente resistente al cambiamento.
È bene sottolineare che i soggetti con ARFID non sono semplicemente “schizzinosi” o “testardi” e non rifiutano il cibo per problemi legati alla volontà di perdita di peso o all’immagine corporea: si tratta di un disturbo psichiatrico che va individuato correttamente affinché si possa tempestivamente intervenire con una terapia psicologica adeguata (come la CBT-AR).
Dott.ssa Alessia Zappavigna -Psicologa