La dislessia rientra nei cosiddetti “DSA”, ovvero Disturbi Specifici dell’Apprendimento, dei disturbi del neurosviluppo che coinvolgono le abilità di lettura, scrittura e calcolo.
Solitamente si manifestano all’avvio della scolarizzazione o comunque in età evolutiva, quando nel bambino emerge la difficoltà a sviluppare una capacità che per gli altri diventa progressivamente un automatismo. I DSA non sono conseguenze di traumi, blocchi educativi, psicologici, relazionali e non nascono dalla poca applicazione allo studio, bensì hanno matrice neurobiologica, ovvero dipendono da neurodiversità individuali.
E’ quindi molto importante sottolineare che un bambino con DSA ha intelligenza e capacità cognitive adeguate alla sua età (talvolta persino superiori alla media), ma fatica spesso ad apprendere a causa di caratteristiche personali di apprendimento che spesso non vengono riconosciute e che comunque non sono in qualche modo assecondate dalla classica didattica.
Sulla base del deficit funzionale è possibile distinguere: dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia.
In particolare si sente spesso parlare di dislessia: si tratta di un disturbo legato alla capacità di leggere a causa del quale il bambino, rispetto ai suoi compagni, presenta delle difficoltà nella lettura fluente di un testo poiché la sua decodifica avviene lentamente, comportando quindi una lettura lenta e spesso sbagliata.
La diagnosi di dislessia (come per ogni altro DSA) viene di solito eseguita solo al termine del secondo anno di scuola primaria, anno in cui tale disordine diventa più evidente grazie all’esposizione della letto-scrittura. Solitamente sono le maestre, durante le attività scolastiche, ad avvertire le prime difficoltà e disagi nel bambino: è loro dovere quindi informare il genitore al più presto per fargli prendere contatto con lo specialista in grado di formulare una diagnosi. Ricordiamo che figure non sanitarie, quali pedagogisti, tutor degli apprendimenti, counselor, ecc., non possono fare diagnosi cliniche, pertanto nemmeno la certificazione: la diagnosi clinica in Italia è permessa solo a psicologi e medici.
Una volta ottenuta un’eventuale diagnosi occorre informare la scuola, dando modo agli insegnanti di fornire degli strumenti dispensativi (calcolatrice, tavole pitagoriche, PC, registratori, ecc.) e attuare delle misure dispensative (dispensare l’alunno dalla copia alla lavagna, dalla dettatura di testi o appunti, ecc.).
E’ molto importante parlare al bambino spiegandogli in cosa consistono le sue difficoltà e proporgli con entusiasmo e positività gli strumenti da adottare, facendo leva soprattutto sui suoi punti di forza (come, ad esempio, una buona memoria, l’impegno o l’attenzione) per evitare un senso di frustrazione e scarsa autostima che potrebbero provare addirittura l’abbandono del percorso scolastico.
Dott.ssa Alessia Zappavigna –Psicologa