La violenza contro le donne è un fenomeno complesso e difficilmente misurabile. Per contrastarlo occorre partire dal contesto socio-culturale nel quale si realizza, ma, nonostante tutti gli strumenti a disposizione, la strada che consente alle donne la piena realizzazione sul piano personale e professionale sembra ancora molto lunga.
Può manifestarsi in modalità diverse: dalla violenza fisica a quella sessuale, dalla violenza psicologica a quella economica, dagli atti persecutori come lo stalking fino ad arrivare all’atto più estremo denominato “femminicidio”.
Questo termine fu coniato dall’antropologa Marcela Lagarde in seguito ad un fatto risalente al 1992, a Ciudad Juàrez, al confine tra Messico e Stati Uniti: 4.500 donne scomparvero, 650 furono violentate e brutalmente assassinate, poi i loro corpi martorizzati vennero abbandonati nel deserto, sotto l’indifferenza generale.
La violenza di genere può essere definita come “Ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all’integrità, allo sviluppo psicofisico, alla salute, alla libertà o alla vita delle donne, col fine di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla sottomissione o alla morte della vittima nei casi peggiori. Violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale rivolta contro la donna, in quanto donna, perché non rispetta il ruolo sociale impostole” (Spinelli,2008). L’uccisione della donna è l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere socio-economico e psico-fisico (Fonte: Casa Internazionale delle Donne, 2013).
È necessario cambiare la visione della donna dalla prospettiva maschile, il modo di rapportarsi ad essa. Prima dell’escalation della violenza che porta al femminicidio, che rappresenta l’apice della violenza di genere, alla base della piramide si trovano tante altre variabili disfunzionali che vanno combattute. E’ bene analizzare questa “piramide” virtuale, partendo proprio dalla base, dove troviamo un linguaggio e una comunicazione nei confronti della donna offensiva, comprese le battute sessiste, omofobiche, trans fobiche e la visione della donna-oggetto. Salendo la piramide vi è l’idea di incanalare la donna nei ruoli tradizionali, le discriminazioni sul lavoro e i rigidi stereotipi di genere; salendo ancora troviamo le minacce, l’abuso verbale e le molestie. Quanto appena descritto prepara il campo per l’abuso fisico, emotivo o finanziario, per arrivare poi alla violenza sessuale e infine all’omicidio.
Il ciclo della violenza contempla spesso una continua alternanza di atteggiamenti ostili e violenti e atteggiamenti opposti di cura e affetto ed è esattamente questa alternanza a rappresentare la prigione da cui può diventare difficile liberarsi: dal momento che lo stesso uomo procura tanto male quanto il bene che le fa, i momenti di tranquillità danno alla donna la forza e la speranza che possa andare meglio e invece di troncare una relazione pericolosa può decidere di dare un’altra opportunità all’uomo, impegnandosi lei stessa per migliorare la situazione. Questo impegno da parte delle donne diventa spesso un rinunciare alle proprie libertà, sottomettersi, fare tutto affinché l’uomo non sia mai scontento, sacrificare spazi personali, restare zitta quando avrebbe invece da ridire, accettare di vivere in una relazione non alla pari. E’ importante prestare attenzioni a tutti i segnali, in particolari i più banali, quelli che minimizziamo in realtà sono proprio quegli indizi, da cui parte tutto; perciò se troppo spesso il linguaggio verbale che ci viene rivolto da parte di un uomo è denigratorio, sessista, aggressivo, denunciare è il primo passo affinché la violenza di genere non i ripercuota per sempre nella nostra vita e sfoci in veri e propri omicidi. Nessuna donna merita di vedere la sua vita nelle mani di un uomo che gliela sta rovinando, anche le parole crudeli vanno denunciate, dal momento che anche il linguaggio può essere un’arma. L’atteggiamento che può sembrare più banale molto spesso è quello che lascia nel proprio inconscio i segni più dolorosi che una donna si porterà per il resto della vita.
Dott.ssa Alessia Zappavigna -Psicologa