Nella nostra società i più piccoli rientrano nelle categorie maggiormente difese e tutelate grazie all’evolversi delle leggi degli ultimi anni e alla sensibilità collettiva.
Ciononostante casi recenti di cronaca confermano che possono verificarsi alcuni delitti terribili, i “figlicidi”, che producono nell’opinione pubblica un forte allarme sociale, sia perché queste azioni si verificano all’interno di un contesto per antonomasia definito “protetto” come quello familiare, sia per l’atroce efferatezza con cui spesso si manifesta l’omicidio.
Uccidere il proprio figlio è un tema che ritroviamo in molte religioni, dallo studio della storia e dell’antropologia sono emerse ulteriori conferme: nell’Impero Romano il “pater familias” aveva diritto di vita e di morte anche sui propri figli, mentre la madre non esercitava alcun potere su di loro in quanto era prevista la “sacra patria potestà”. Anche la mitologia greca affronta spesso il tema del figlicidio, sia per mano della madre che del padre, basti pensare ai miti di Medea o di Ercole.
Recentemente uno studio britannico sui padri che uccidono i figli – per poi, spesso, suicidarsi- li definisce “Padri Sterminatori”, evidenziando come il numero degli uomini che commettono questi delitti segue l’aumento delle rotture famigliari – separazioni e divorzi. In questi specifici casi spesso l’episodio di violenza termina con il suicidio o, talvolta, nell’uxoricidio.
È estremamente fuorviante ed ingiusto affermare che il divorzio porti all’omicidio, eppure ciò che davvero preoccupa è che esiste una piccola minoranza di uomini che trova impossibile fare i conti con la rottura della loro famiglia. Questi uomini appartengono a qualunque classe sociale (medici, imprenditori, elettricisti, camionisti, vigilantes..), ma sono accomunati dalla percezione che la loro mascolinità sia sotto minaccia.
Le motivazioni che sottendono tale efferata e incomprensibile violenza vedono spesso una fusione di alterazione della personalità – in larga parte casi di narcisimo patologico- alimentate o generate da senso di possesso, convinzione di essere il perno della famiglia, potere, rivalità, vendetta sulla donna o invidia verso i propri figli.
Con il divorzio quegli uomini credono di perdere l’unica cosa che li fa sentire uomini di successo: le loro famiglie. Uccidendo i propri figli stanno cercando, in maniera perversa, di riottenere il controllo non soltanto sui loro bambini, ma anche sulle loro mogli. Assassinare i loro figli è il modo più scioccante e drammatico al quale possono pensare per gridare al mondo: “Guarda quanto sono potente”.
Uno psichiatra canadese, Ben Buchanan, sostiene a tale proposito che la maggioranza degli uomini che assassina i figli lo fa per punire le mamme, ovvero le loro compagne: “I nostri bambini rappresentano le nostre mogli, sono la loro rappresentazione simbolica ma sono molto più vulnerabili. Nei casi che ho visto, è raro per gli assassini incolpare i bambini, in quanto sono semplicemente dei sostituti attraverso i quali tentano di arrivare alla madre”. Per farla vigliaccamente ed egoisticamente, soffrire.
Dott.ssa Alessia Zappavigna –Psicologa