Un lutto è un evento molto doloroso che gli adulti spesso si trovano a dover fronteggiare, grazie a risorse emotive e relazionali acquisite, ma lo stesso non avviene per i più piccoli, sebbene molto comunemente durante la loro crescita inizino a domandare ai genitori che cosa sia la morte o si trovino dinnanzi alla scomparsa di un familiare o un conoscente.
Qualunque strategia si decida di attuare nello spiegare la morte ai bambini, l’importante è non essere evasivi di fronte alle loro domande, anche se potranno essere molto secche e dirette, evitando dunque frasi come: “Lo capirai quando sarai grande” o “Un giorno ne riparleremo”. A volte, infatti, per iperprotezione si tende a nascondere (laddove è possibile) l’accaduto, attraverso storie inventate di allontanamenti volontari e provvisori, ad esempio “Il nonno è partito per un lungo viaggio” oppure “starà via per molto tempo”. Sebbene per l’adulto che deve e comunicare la notizia della perdita tagli risposte fungano da rassicurazione, sono in realtà fuorvianti e pericolose dal momento che piccoli sono come spugne e sono molto ricettivi all’ambiente circostante: si possono rendere conto della discrepanza tra ciò che viene comunicato loro e le emozioni che circolano in casa, domandandosi perché il nonno sia andato via senza salutare o chiedendosi il perché della tristezza percepita in famiglia se si tratta solo di un viaggio.
Inoltre i bambini ascoltano i discorsi dei grandi e si accorgono subito che qualcosa non va: si rischia così di creare una sorta di tabù su quello che è successo e che i bambini si sentano in obbligo di non parlare e non fare domande, per non far soffrire ulteriormente chi gli sta intorno. La sensibilità dei bambini è infatti spesso trascurata, anche se in molte occasioni evitano di fare domande o chiedere spiegazioni per paura di provocare dolore in chi gli sta intorno.
Non vi sono parole o frasi giuste in queste situazioni: occorre trovare il modo più affine al proprio modo di pensare e con estrema delicatezza dare risposte esaurienti ai propri figli, adeguando il linguaggio e il contenuto sia all’età del bambino che al proprio retaggio socio-culturale e religioso, senza alimentare angosce inutili, ma nei limiti del possibile, dicendo la verità con parole adeguate, lasciando sempre che i bambini sentano la speranza che la vita continua (il nonno ora è un angelo, una stella nel cielo..). Ovviamente per chi ha fede questo è più semplice, ma si possono trovare molte storie e metafore anche se si è atei: sarebbe irrispettoso del bambino rispondergli brutalmente che non ci sarà più niente dopo la morte, solo per essere coerenti con le proprie convinzioni.
Oltre a calibrare bene quello che è meglio dire e rispondere è bene tenere presente che loro saranno molto condizionati da come ci vedranno reagire e comportarci in quei frangenti: se respireranno un’atmosfera tragica che non ispira continuità di vita, anche se le spiegazioni saranno illuminate il messaggio di disperazione prevarrà sulle parole edificanti. Con i bambini la comunicazione basata sulla diffusione della speranza si rivela fondamentale per alimentare in loro serenità, nonostante tutto.
Dott.ssa Alessia Zappavigna – Psicologa