“Io sono il pane vivo disceso dal cielo…” La guerra toglie il pane; la pace e l’amore lo moltiplica. Togliere il pane significa portare la morte. Riflettiamo insieme sulla bontà del pane, fonte di vita.
L’odore del pane è veramente gradevole, sa di famiglia, rende solidali, unisce e crea comunione. Il suo sapore è unico. Nella condivisione del pane si costruisce la fraternità. Per la Chiesa, il Pane è Cristo stesso.
Un giorno, mentre mi accingevo a mangiare, ho sentito una voce che mi diceva: Ti piaccio? Vedi come ti rendo felice? Solo io riesco, realmente, a saziare la tua fame!
Sorpreso e un po’ sbigottito, alzo lo sguardo e cerco con gli occhi la provenienza della voce e con grande meraviglia mi accorgo che la forma di pane che tengo sul tavolo mi sorride. Mi dice: sono io che ti parlo, io che ti nutro e ti sazio!
Credetemi, non mi era mai capitato, eppure, questa volta mi è successo per davvero! Mi sono imbattuto in un “Pane vivo”.
Dopo lo stupore iniziale, cominciai a interloquire con il mio pane e per meglio capire tutto quello che mi stava succedendo gli chiedo: dimmi, raccontami, come hai fatto a diventare pane?
Lui mi guarda e mi dice: Io provengo da molto lontano e la mia vita prima di diventare così gustosa e riuscire a far felici tutti, è stata molto faticosa e dura. Se non hai fretta e sei paziente ti racconterò con calma ogni cosa.
A dire il vero, un po’ di fretta la tenevo, ma visto la straordinarietà dell’incontro, ho messo tutto in secondo ordine e mi fermai attento, ad ascoltare il mio pane.
Gli dissi: Parlami! Dimmi! Dimmi ogni cosa, sono curioso di sapere tutto e di conoscere la tua vera storia.
Lui, fece un lungo sospiro e mi disse: la mia vita inizia con la morte del mio papà, se lui si fosse rifiutato di morire io non sarei nato. Certo, qualche volta, mi viene la tristezza nel cuore al pensiero che per nascere io un altro è dovuto morire; ma la vita è così, non ci si può far niente. Poi, mi sono convinto che mio papà è stato molto felice di donarsi tutto per me, per cui la mia iniziale tristezza si trasforma in gioiosa gratitudine.
Quando sono nato non ero così, come tu mi vedi, ero un piccolo filo d’erba. I ragazzi mi scambiavano per un poco di buono, non facevano attenzione alla mia vita, a volte mi maltrattavano e qualche volta ho rischiato perfino di morire schiacciato sotto i loro piedi.
Ma, i loro papà mi guardavano con grande attenzione e speranza, mi curavano, sapevano che non sarei rimasto inutile e che poi avrei fatto felice loro e la loro famiglia. Così, tra mille pericoli, con la forza che proviene dall’acqua e con il calore del sole, sono cresciuto e sono diventato una spiga. Ma questo non è tutto.
Nel pieno della mia maturità, quando mi sentivo forte e robusto, quando non avevo più paura né dei ragazzi, né del vento e della pioggia, quando pensavo che ormai tutto andava per il verso giusto secondo i miei progetti, sono stato violentemente strappato dal mio terreno e condotto in un luogo a me non familiare. Allora, mi sentivo morire, avevo paura, il cuore mi batteva a mille a l’ora.
Quella è stata una esperienza terribile e dolorosa. Mi chiedevo: che cosa mi succederà? Cosa vogliono da me? Perché mi hanno portato in questo luogo così diverso dal mio ambiente vitale? Immagina il mio smarrimento e la mia paura!
Ma forse, tu mi puoi capire, perché qualche volta, anche tu ti sei posto queste domande e hai cercato insistentemente risposte che si teme che non arrivino mai.
La risposta, per me, non si è fatta attendere molto, ma devo confidarti che non riuscivo a capire, e a mano a mano che mi succedevano gli eventi, mi si annebbiava la vista e continuavo a non capire, provavo solo molto dolore e un indefinito senso di smarrimento.
Con un processo molto lungo e faticoso, mi hanno strappato dalla mia protezione naturale, mi hanno frantumato e macinato fino a ridurmi a polvere, poi mi hanno impastato con acqua e lievito – che brutto sapore aveva quel lievito – ed infine, mi hanno infornato. Hai capito bene, mi hanno messo dentro un forno caldo, per cuocermi.
Ora son qui sul tuo tavolo per lasciarmi mangiare da te e darti la possibilità di vivere. Te l’ho già detto: io provengo da molto lontano.
Ti dicevo che, inizialmente, non ho capito del perché di tanto dolore, mi sembrava inutile e fuori luogo; spesso mi sono rifiutato e ribellato a coloro che, a mio avviso, mi maltrattavano. Ho passato notti insonni, chiedendomi il perché di tante cose e non riuscivo a trovare una risposta. Adesso, con il senno del poi, sono felice, tutto mi è chiaro. Ti sembrerà strano, ora ringrazio tutti, per tutto, e mi sento fortunato rispetto a molti altri.
Qualche mio amico è rimasto dentro quel sacco che ci ha trasportato nel luogo dove sono stato macinato. In un primo momento ho pensato che il fortunato fosse lui, ma poi quando ho visto la mia fine e la sua mi sono ricreduto.
È vero, quel mio amico non ha sofferto, non è stato macinato e infornato, non ha subìto il martirio che ho subito io, ma adesso io sono felice perché ti faccio felice, mentre lui si è svuotato ed è rimasto solo.
Non ha sofferto come ho sofferto io, ma è fallito per sempre, non ha realizzato la sua vita, si è intristito. Dentro quel sacco si è svuotato, è morto ed è morto per sempre; dalla sua morte nessuno ne ha avuto vantaggio, nemmeno lui.
La morte del mio amico rimasto nel sacco è molto diversa dalla morte del mio papà. Il mio papà vive in me e per mezzo mio, il mio amico del sacco è morto per sempre.
Forse non ci hai mai pensato: c’è una morte che porta alla vita e c’è una morte che è solo morte. Io adesso capisco del perché è morto il mio papà e del perché sono nato io. Tutto sommato vale la pena nascere, soffrire e morire, perché da questa morte viene la pienezza della vita.
Siamo rimasti, per alcuni lunghi minuti, in silenzio, lui sul tavolo ed io seduto di fianco al tavolo, lui mi guardava ed io pensavo a tutto quello che mi stava succedendo e a ciò che mi aveva detto.
Poi, lui interruppe il silenzio e mi disse: vedo che sei molto riflessivo e paziente, mi hai ascoltato fino in fondo, adesso, raccontami la tua vita, dimmi: Perché vivi? Dove vai? Cosa cerchi?
Io, se prima ero pensoso, adesso mi sono confuso. Le domande che mi ha posto sono le domande che, per tutta la vita, periodicamente, mi ritornano e su cui non sono mai riuscito a trovare le parole giuste e le risposte definitive.
Sono diventato ancora più pensoso perché non sapevo da dove iniziare, dove andare e cosa dire; tutto quello che mi veniva in mente mi sembrava non rispondente a pieno a quello che veramente desideravo.
Dopo un po’, mi decisi e dissi: in verità, non so bene perché vivo, dove vado, cosa cerco. Ma, oggi ho capito, attraverso la tua storia, che la mia vita dovrebbe essere come la tua: “UN PANE VIVO” (Gv 6,51).
Don Giuseppe Alcamo