Siciliano di Mazara del Vallo ma fiorentino d’adozione, classe 1976, Alfonso Bonafede è senza dubbio una delle persone più vicine a Luigi Di Maio. Deputato del M5S al secondo mandato, avvocato con studio legale nel capoluogo toscano, è unanimemente considerato il Mr Wolf del Movimento.
Laddove c’è un problema, spunta una controversia, esplode una crisi (spesso di nervi) – sia dentro sia fuori il Parlamento, vedi alla voce il Campidoglio – è lui che il capo politico chiama, sicuro di poterla risolvere. Per via non solo di quel titolo di studio che al leader difetta, una laurea in giurisprudenza e dottorato di ricerca in Diritto Privato, ma di un’indole vocata alla pazienza, a smussare le asperità, a mettere d’accordo gli opposti.
D’altra parte c’è scritto pure nel suo curriculum, sebbene riferito alla sua (vera) professione: tra gli incarichi svolti ha fatto anche il “conciliatore tra imprese e clienti finali dei servizi elettrico e gas”. Uno capace di mettersi lì ad ascoltare, mediare, ricucire finché non si trova un compromesso.
Quello che nella Seconda Repubblica fu Pinuccio Tatarella per Gianfranco Fini, è ora nella Terza Bonafede per Di Maio: il suo ministro dell’Armonia, anche se il governo gialloverde non è ancora fatto e nel giro di pochi giorni lui è stato già promosso da Guardasigilli a premier, almeno sulla carta.
Un salto vertiginoso da quel lontano 2006 quando l’allora legale alle prime armi si riuniva in qualche baretto popolare fiorentino con il gruppo degli “Amici di Beppe Grillo”. Tre anni dopo, nel 2009, si ritrova candidato sindaco contro Matteo Renzi, che vince a mani basse inchiodando il M5s sotto il 2% (poco meno di 4mila voti) e fuori dal consiglio comunale.
Bonafede però non si perde d’animo e insiste: nel 2013 viene eletto deputato della circoscrizione XII Toscana e diventa vicepresidente della Commissione Giustizia. Sbarcato a Roma stringe subito i rapporti con Di Maio, che a fine 2016 – dopo l’arresto dell’ex vice capo di gabinetto di Virginia Raggi per corruzione – lo spedisce insieme a Riccardo Fraccaro a far da tutor alla traballante giunta grillina.
Nel frattempo si mette in vista per la sua attività parlamentare: appena eletto, scrive e deposita la proposta di legge che mira all’introduzione della class action in Italia, applicabile come strumento generale per tutti i cittadini e le imprese e non solo per i consumatori; poi firma quella sul divorzio breve, trasformata in legge nel 2015. Di pari passo scala il Movimento: cura i rapporti con gli enti locali 5S e a fine 2016 diviene responsabile della funzione “Scudo della Rete” nella piattaforma Rousseau.
Un’arrampicata che sembra far molto bene pure alle sue tasche. Al primo anno di legislatura Bonafede dichiarava un imponibile di poco più di ventiseimila euro. L’anno scorso, grazie anche all’indennità parlamentare, il suo reddito imponibile era schizzato a 186.708 euro. Sei volte tanto. Il doppio persino del suo capo, Luigi Di Maio, che nel 2017 si è fermato a 98.471 euro. Lui però, a differenza di Bonafede, partiva da zero.
(Fonte: Repubblica.it – Giovanna Vitale)