“Presto libereremo Silvia”. A una settimana dal sequestro della volontaria milanese, il comandante del campo dell’esercito kenyano a Garsen, il tenente Meragay, a cui fanno capo le ricerche da parte militare, si sbilancia, ma le sue parole vanno prese con molta cautela. Tra polizia e forze armate (in tutto circa 200 unità), la caccia ai rapitori di Silvia Romano parte da questa piccola cittadina a nord di Malindi, nella contea di Tana river, pericolosamente vicina alla Somalia: 250 chilometri. Il soldato del checkpoint è piuttosto nervoso, e continua a manovrare il fucile con il dito sul grilletto. Si calma quando arriva il tenente con altri tre soldati.
E’ una brutta area questa. Incastrata tra la contea di Kilifi, dove si trova Chakama, il villaggio della volontaria milanese, e la cittadina costiera di Malindi, e la contea di Lamu, teatro di stragi e rapimenti a opera di al-Shabaab, al confine con la Somalia. Lo sanno bene le forze armate kenyane, che in questa zona solo quest’anno hanno perso decine di militari a causa degli attacchi sferrati dai miliziani islamisti somali.
Si arriva a Garsen dalla statale che collega Malindi a Garissa (contea di Lamu), dove nel 2015 vennero uccisi 150 studenti per mano dei terroristi di Shebaab. 150 chilometri di strada costeggiata da una fitta foresta su entrambi i lati: acacie a ombrello piene di spine, baobab, e boscaglia bassa e densa, quasi completamente disabitata. Ogni tanto si intravedono delle capanne disposte a cerchio, ricoperte da teli di plastica, “case” temporanee dei mandriani semi-nomadi delle tribu’ di origini somale, Orma.
E’ in quest’area, da qualche parte, che pensano si trovi Silvia, ostaggio dei tre uomini che l’hanno trascinata via martedì 20 novembre, dall’alloggio della onlus Africa Milele, per cui svolgeva l’attività di volontariato. Il centro operativo si è stabilito a Garsen perché, secondo gli inquirenti, il commando non avrebbe ancora superato il fiume Tana che la lambisce. E contano, anzi, ne sono certi, secondo quanto sostiene il comandante regionale della polizia, Bernard Leparmarai, di impedire loro di superare la contea e dileguarsi nella vicina famigerata Boni Forest della contea di Lamu, nascondiglio dei miliziani, al confine somalo . Lavorano giorno e notte. Partono a bordo di 4×4 per poi continuare a piedi, quando la strada non consente più l’accesso neanche ai veicoli.
“Non sono di etnia Orma, ma Wardei – spiega Leparmarai – Sono criminali comuni che non hanno nulla a che vedere con i loro clan, ma sono sostenuti dai pochi abitanti delle terre che attraversano. Per questo siamo in contatto con gli anziani delle tribù. Per avere la loro collaborazione”. Le prove che ci sia qualcuno che li stia aiutando, arrivano dalle analisi delle impronte dei rapitori, che spesso si aggiungono a una quinta o sesta persona. Probabilmente qualcuno che porta loro da mangiare: sono stati ritrovati resti di una pecora cotta intorno a un focolare.
Intanto la moglie di uno dei rapitori, Elima, è stata arrestata e si trova a Garsen dove comparirà a breve davanti a un tribunale. La sua testimonianza sembra preziosa, ma la polizia non lascia trapelare nulla.
La comunità italiana di Malindi si stringe intorno a Silvia. E c’è chi sta organizzando una veglia di preghiera domenica 2 dicembre con il benestare di Lawrence Dena, vescovo della chiesa anglicana della contea di Kilifi, che invitera’ tutte le chiese della regione costiera kenyana e le comunità musulmane a unirsi a lui.
(Fonte: Repubblica.it – Raffaella Scuderi)