La scoperta durante alcuni lavori per Evocava, il futuro museo delle cave. Lo spazio monumentale, di quasi tremila metri quadri, conserva numerose iscrizioni e date, alcune risalenti al 1800.
Mazara nasconde una quantità indefinita di spazi ipogei di origine naturale o antropica, ricavati nei secoli per ottenere quel tufo dorato che definisce le facciate dei nostri monumenti e delle nostre abitazioni. Quel materiale sottratto alla roccia restituisce adesso una città sotterranea fatta di cunicoli, grotte e cave sotterranee alte diversi metri.
Come quella scoperta dai giovani di Periferica che, dopo alcune ricerche ed analisi all’interno della propria cava, hanno compreso la possibilità che oltre il muro di un’antica galleria si celasse qualcosa. E infatti, dopo aver aperto un varco, essi si sono calati nel ventre della cava scoprendo un enorme spazio ipogeo grande quasi tremila metri quadri e chiuso da decenni.
Abbiamo iniziato i lavori con l’idea di organizzare gli spazi destinati al museo, e magari confermare qualche deduzione -afferma Carlo Roccafiorita, fondatore e project manager di Periferica. Una di queste ipotesi ci ha indotto a rimuovere alcuni conci di tufo da un muro che tappava quella che sembrava essere soltanto l’ingresso di una piccola galleria. Ma ben presto ci siamo resi conto di avere scoperto uno spazio molto più grande del previsto. Allora abbiamo allargato il varco, ci siamo calati e -con la supervisione di uno speleologo (Salvino Titone, ndr) abbiamo iniziato ad esplorare, camminando decine di metri e scoprendo tantissime iscrizioni, tracce ed oggetti. Dopo decenni le nostre orme tornavano a tracciare uno spazio inimmaginabile, quasi lunare. Siamo rimasti senza fiato.
Periferica, che dal 2013 porta avanti un percorso analitico e visionario sul futuro delle cave, ha da pochi mesi vinto un finanziamento promosso da Fondazione Unipolis per sviluppare, proprio all’interno della propria cava, uno spazio museale che descriverà la Mazara sotterranea, promuovendo itinerari turistico-culturali in grado di riportare questi luoghi al centro di nuove dinamiche di sviluppo del territorio. Il progetto, dal nome Evocava – museo evocativo delle cave, presentato al MiBACT di Roma lo scorso novembre, coinvolge già 4 cave del quartiere Macello e, in sinergia con l’università di Palermo, riunisce diverse realtà e professionisti del territorio siciliano con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio etno-antropologico delle cave di Mazara.
Mario Tumbiolo, architetto ed autore di diverse pubblicazioni, ha affermato che questa sorprendente scoperta potrebbe aiutare a comprendere l’evoluzione delle tecniche estrattive dei cavatufi, oltre all’utilizzo che questi spazi hanno avuto dopo il periodo di estrazione. All’interno dello spazio, infatti, sono state trovate diverse date (1820, 1826, 1830, 1834) che identificherebbero gli anni di apertura dei diversi cantieri in opera. È molto probabile inoltre che la cava sia stata utilizzata come rifugio antiaereo durante la guerra: lo testimonia l’iscrizione di una data -1939- ed il ritrovamento di alcuni beni di prima necessità quali medicinali, giocattoli, viveri.
Questa scoperta -afferma Paola Galuffo, curatrice di Periferica- ha un valore che sentiamo il dovere di tutelare e promuovere. Mazara è piena di luoghi simili e speriamo che questa scoperta costituisca il primo passo verso quel riconoscimento culturale che meritano. Le cave sono l’impronta madre della nostra città ed è un patrimonio che vogliamo portare alla luce attraverso l’innovazione, la progettazione, la partecipazione, in un processo che immaginiamo essere di natura tanto pubblica quanto privata.
Periferica, che nell’ambito di Evocava coinvolge già diverse istituzioni e partner, ha espresso la propria disponibilità alle autorità competenti affinchè lo spazio diventi sicuro e fruibile attraverso un’operazione sinergica.
Evocava – conclude Carlo – è un progetto che mira fin dall’inizio a coinvolgere la comunità. La maggior parte della cava è stata interessata da crolli, ma vi è una parte facilmente accessibile che non presenta lesioni e che si presenta ancora stabile. Lì potrebbe essere interessante svolgere alcune campagne di scavo collaborativo, come già succede in meravigliosi esempi come la Galleria Borbonica di Napoli. Abbiamo già trovato molte testimonianze, ma bisogna considerare che il suolo originario è più profondo di oltre due metri rispetto a quello attuale. Cosa può nascondersi sotto il fango? Non rimane quindi che seguire Periferica ed attendere nuovi sviluppi.
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