La misericordia è come un prisma di diamante, che ti permette di contemplare le diverse sfumature di luce che la fede in Cristo emana, illuminando in modo diverso il contesto in cui viene incarnata.
La misericordia è “una categoria teologica generatrice” onnicomprensiva, che permette di gustare la bellezza dell’amore di Dio e la genuinità della vita ecclesiale.
La misericordia è l’affetto concreto e premuroso, la tenerezza con cui Dio si accosta all’uomo, ma è anche la modalità con cui l’uomo percepisce la presenza di Dio a lui prossima.
Con il termine Misericordia si indicano contemporaneamente due dimensioni contrapposte, come una doppia genesi: la grandezza di Dio, che è amore donato senza condizioni, e la fragilità dell’uomo, che per continuare a vivere non può mai fare a meno di questo amore divino. Una polarità inscindibile, che rende Dio umano e l’uomo divino.
Dentro la logica della misericordia l’uomo fa un’esperienza nella quale si sfiorano “l’umano” ed “il divino”, “l’immanente” ed “il trascendente”, cambiando il suo modo di pensarsi in relazione a Dio ma anche in relazione agli altri e a sé stesso.
Questa consapevolezza mette sempre al centro non l’azione della Chiesa, cioè la pastorale, ma il Pastore che nella Chiesa è uno solo, come uno è il Maestro e il Sacerdote, come uno è Dio.
Di conseguenza, l’azione pastorale della Chiesa non può essere altro che cooperazione all’azione dell’unico Pastore, che consiste nell’assumere e ricapitolare tutto in Cristo. La categoria misericordia esprime sia la rivelazione di Dio sia il progetto educativo della Chiesa.
Misericordia è una parola antica/originaria che si pone dentro il “nocciolo” del Vangelo e nello stesso tempo di fronte all’icona più limpida della vita cristiana.
Dio si rivela come amore misericordioso, che ha compassione per ogni singolo uomo incappato nei briganti e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada.
L’uomo, quando si accorge di essere concretamente amato da Dio, scopre di conoscerlo non per sentito dire ma per intimità, per esperienza personale, per essere stato coinvolto direttamente dentro il circolo dell’amore Trinitario e sente come una necessità ineludibile assumere la logica e lo stile della misericordia nelle sue relazioni interpersonali.
Gesù mette insieme queste due dimensioni ponendo in parallelo la misericordia e la beatitudine, chi accoglie la misericordia del Padre come stile di vita viene introdotto, già adesso, nella beatitudine di Dio; una circolarità, tra il divino e l’umano, tra la promessa e il dono, tra la meta e la via, che sorprende e stupisce.
Questa consapevolezza crea un certo imbarazzo in tutti coloro che si accingono a parlare di misericordia, perché non si sa bene da dove iniziare, per mettere in evidenza la novità.
Quando si sceglie la prospettiva da assumere, le difficoltà e l’imbarazzo non vengono meno perché ci si rende conto che mancano le parole adeguate; si avverte una forma di disagio perché si rischia di dire cose scontate, di parlare con frase fatte, di dire tutto e niente su Dio e sulla Chiesa; si teme di sciupare la bellezza dell’icona ecclesiale o di scalfire, impoverendo, la struttura del nocciolo evangelico.
Una difficoltà comunicativa? Si certo, ma soprattutto concettuale, perché come si fa a parlare di Dio in modo adeguato? Chi può avere questa presunzione?
Gli evangelisti, avvertendo questa difficoltà, spesso scelgono di percorrere le vie paraboliche, per dire con immagini e in termini narrativi la misericordia che hanno sperimentato nella loro vita.
Il credente sa che se vuole parlare di Dio in modo sensato può farlo solo in punta di piedi e con grande umiltà, con la consapevolezza di poter solo balbettare quello che Dio stesso gli permette di poter dire.
Solo i mistici, coloro che fanno parlare Dio in loro, possono aiutarci in questa condivisione della fede, perché non partono dalla ragione ma dal cuore, che inzuppato d’amore per Dio e per i fratelli introducono dentro un sentiero di comprensione capace di supportare la fragilità della ragione stessa.
Parlare di Dio in modo esistenziale è molto di più che farlo in modo razionale, perché non viene coinvolta solo la sfera intellettiva, ma anche quella emotiva, affettiva, intuitiva.
Buona domenica a tutti voi che leggete
Don Giuseppe Alcamo