“Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo!… La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma dall’aver incontrato una Persona: Gesù, dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti!”.
Le parole di Papa Francesco riecheggiavano nell’aria in questa domenica 22 aprile in cui il gruppo VOM (Volontari Ospedale Mazara), costituito attualmente da 78 volontari, insieme ai familiari abbiamo vissuto una giornata di fraternità, di formazione e di preghiera presso la Comunità “Orchidea”, messa a disposizione dalle Suore della Sacra Famiglia, organizzata dal Cappellano dell’Ospedale “Abele Ajello” don Antonino Favata.
Durante la mattinata, don Antonino Favata ha tenuto una lezione sul senso cristiano della sofferenza prendendo spunto dalla Lettera Apostolica “Salvifici Doloris” del 1984 di San Giovanni Paolo II e dal contributo di Padre Bartolomeo Sorge: La sofferenza. Un bene o un male per l’uomo?
Abbiamo avuto modo di riflettere, in maniera ampia, sul senso della sofferenza: un concetto molto vasto ed articolato su cui si sono soffermati a riflettere tanti “uomini di scienza e di cultura, filosofi, e artisti, non credenti e credenti, di tutte le fedi, di tutte le generazioni e di tutte le nazioni”, senza riuscire a dare mai risposte soddisfacenti o convincenti. La sola ragione quindi non basta per capire la sofferenza, “esiste una Parola rivolta all’umanità e contenuta nel Vangelo, con la quale non possiamo non confrontarci… anche chi non crede può trovare nel Vangelo un aiuto per giungere a dare un senso alla sofferenza, anche se essa rimane un mistero… È esattamente quanto ha fatto Giovanni Paolo II, dedicando una lettera apostolica all’argomento, la Salvifici Doloris del 1984, per mettere in luce il senso insieme soprannaturale e umano della sofferenza: «È soprannaturale – scrive San Giovanni Paolo II -, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione».
La sofferenza quindi, a differenza di tante convinzioni che serpeggiano nella nostra cultura e quindi tra la nostra gente, anche cristiana, che tende a rifiutarla o ad occultarla, non è mai una fatalità, né tantomeno un castigo di Dio. “La fede, dunque, illuminando la ragione umana, ci aiuta a fare la scoperta incredibile che la sofferenza viene dall’amore e porta all’amore… Infatti, ogni persona è essenzialmente un «chiamato alla vita», dalla quale la sofferenza è inseparabile… «Seguendo la parabola evangelica – scrive San Giovanni Paolo II – si potrebbe dire che la sofferenza, presente sotto tante forme diverse nel nostro mondo umano, vi sia presente anche per sprigionare nell’uomo l’amore, proprio quel dono disinteressato del proprio “io” in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti”.
Quindi la sofferenza ci permette di incontrare gli altri ovvero di avvicinarci alle persone sofferenti come dei buoni Samaritani. Ciascuno di noi, in quest’ottica, diventa uno strumento d’amore tramite cui Dio giunge ai fratelli sofferenti. Ciò significa che possiamo diventare tutti (e ciò è particolarmente vero per chi fa volontariato) testimoni credibili del Vangelo per il nostro prossimo, facendoci compagni di viaggio per chi soffre e donando con la nostra presenza quella tenerezza che è propria del Buon Pastore che offre la sua vita, e che la Chiesa ha celebrato proprio oggi.
Il sole era caldo e il cielo sereno, come gli animi di tutto il gruppo, e in un clima di gioia abbiamo proseguito la giornata condividendo il pranzo: un momento di vera fraternità che ci ha dato la possibilità di conoscerci e di collaborare tutti insieme: le uniche nuvole erano quelle del fumo del braciere acceso per arrostire la salsiccia. Una tavola piena di dolci, realizzate dalle volontarie, ha ulteriormente addolcito i cuori e i palati.
Nel primo pomeriggio si sono uniti a noi anche dei medici e degli infermieri dell’ospedale. L’incontro con Suor Alessandra delle Suore Francescane Missionarie e con Isabella Oddo ha permesso di scoprire la figura del tutor dei minori stranieri non accompagnati, che ha il compito di prendersi cura, guidare e accompagnare i giovani migranti fino alla maggiore età nel loro inserimento nelle comunità locali. Una figura di grande rilievo sociale che permette al minore straniero di poter fare affidamento su un adulto che gli permetta di imparare a vivere in modo sempre più autonomo nel Paese in cui risiede.
A seguire, don Gioacchino Arena ci ha presentato il libro del biblista Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, “Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita”: un best seller molto apprezzato in tutti gli ambienti sanitari. Il libro è il frutto della sua personale esperienza di malattia e ospedalizzazione nella doppia veste di uomo di Dio ed ammalato: in questa dolorosa vicenda egli ha trovato una chiave per rileggere il tema della sofferenza alla luce della Fede. Secondo l’Autore, infatti, nella sofferenza è Cristo che si china su di noi per aiutarci ad affrontarla e così facendo ci permette di crescere spiritualmente. Il libro offre una provocazione che scuote e costringe a ripensare le categorie relative alla vita, alla morte, alla fede e alla sofferenza in un’ottica completamente diversa da quella che ci porta ad affrontare le vicende più faticose dell’esistenza con rassegnazione, o tristezza, o turbamento. La morte può essere accolta con gioia se, da cristiani, ci ricordiamo che essa significa che i nostri cari hanno smesso di essere tormentati dalla malattia e, grazie a questa “seconda nascita”, godono della beatitudine eterna.
La Celebrazione Eucaristica è diventata pertanto il momento più alto di questa meravigliosa ed intensa giornata in cui, sull’altare, i presenti hanno offerto la gratitudine di poter essere l’un per l’altro fratelli, strumenti dell’Amore di Dio. Il senso profondo che guida ed illumina il servizio di tutti i volontari VOM sta nella consapevolezza di essere “mandati per annunciare” la gioia della vita, cosicché la nostra visita agli ammalati diventa un’opera di misericordia: l’altro, l’ammalato, è il Cristo sofferente.
Dopo questi primi mesi di servizio, questa giornata di formazione è stata una pausa necessaria per fare verifica di quanto è stato fatto e per “continuare a camminare” con maggiore consapevolezza per un servizio che, nella sua identità cristiana, ha come obiettivo e fine la consolazione del fratello ammalato.
Tutto è stato perfettamente organizzato e coordinato da Don Antonino Favata, che da buon pastore, riprendendo il tema del Vangelo di questa domenica, guida il suo gregge verso la consapevolezza che la vera terapia per il dolore e la sofferenza è l’amore e, per tutto ciò, il gruppo dei Volontari dell’Ospedale di Mazara gli è infinitamente grato.
Il gruppo VOM