Il 4 ottobre Giorno di San Francesco indicato, dal Parlamento nel 2005, quale “solennità civile e giornata per la pace, per la fraternità e il dialogo fra le religioni”, rappresenta un’occasione per continuare a proporsi gli ideali e i valori del poverello e le sue forti scelte di vita. La determinazione sancita dal Parlamento offre un modo in più per diffondere il suo messaggio. Per certi versi si tratta di una precisazione relativa visto che tanti lo conoscono come fratello, uomo del dialogo, dell’amore per l’altro e per il mondo. Il dialogo, la virtù francescana per eccellenza, diventa quindi il primo richiamo del significato della festa di san Francesco.
Perché si celebra il 4 ottobre Per comprendere al meglio il vero significato attribuito a questa giornata, è opportuno fare un “piccolissimo” salto nel passato, un balzo di appena ottocento anni. Tommaso da Celano, primo biografo del Santo, racconta come Francesco, trovandosi a Foligno insieme a frate Elia, ebbe la predizione della sua morte, che sarebbe avvenuta due anni dopo.”Una notte – così il Celano – apparve in sogno a Frate Elia un sacerdote bianco-vestito, di aspetto grave e venerando, che gli disse:
“Va, fratello, e avverti Francesco che, essendosi compiuti diciotto anni da quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due anni e poi il Signore lo chiamerà a sé nell’altra vita”(Fonti Francescane, 508).
Sappiamo che gli ultimi due anni di vita di Francesco furono contrassegnati da grandi sofferenze da farlo rassomigliare a Cristo crocifisso. Il 17 settembre del 1224 ricevette le stimmate sul monte della Verna, durante la quaresima in preparazione alla festa di San Michele Arcangelo (29 settembre). Era stato lo stesso Francesco a chiedere di soffrire con questa preghiera:”O Signore mio Gesù Cristo, prima che io muoia ti chiedo la grazia di farmi sentire nell’anima e nel corpo quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nell’ora della tua acerbissima passione”. (FF, 1219) E le sofferenze vennero. Oltre all’impressione delle stimmate, ebbe inizio un fastidioso male agli occhi, tanto grave che si dovette ricorrere ad un’ operazione effettuata da un medico a Rieti. “Con ferri roventi gli furono bruciate le vene, dall’orecchio al sopracciglio, ma non giovò a nulla”. (FF, 1815) Da Rieti Francesco fu portato a Siena, sempre per la cura degli occhi. Ma proprio a Siena “cominciò ad ammalarsi gravemente per tutto il corpo. A seguito di una rottura dei vasi sanguigni dello stomaco, ebbe abbondanti sbocchi di sangue, tanto da far temere imminente la fine” (FF, 502). A tale notizia, frate Elia accorse in fretta e fece trasportare Francesco al conventino delle Celle presso Cortona Ma, dopo pochi giorni dall’arrivo, il male riprese il sopravvento… “gli si gonfiò il ventre, gli si inturgidirono gambe e piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile ritenere qualsiasi cibo” (ivi). Francesco chiese a frate Elia il favore di farlo riportare ad Assisi, ciò che frate Elia eseguì prontamente, anzi ve lo accompagnò di persona.
I cittadini di Assisi, messi a corrente della gravità del male, compresero che quello era l’ultimo ritorno di Francesco nella sua città. Gli mandarono incontro una delegazione con cavalli e cavalieri che lo accompagnò in corteo da Satriano ad Assisi. (cfr. FF, 1609). Frate Elia sistemò Francesco nel palazzo del vescovo di Assisi anziché alla Porziuncola, e ciò per motivi di sicurezza. La Porziuncola, a quei tempi, era in aperta campagna , quindi troppo esposta ad incursioni per rapire il corpo , appena avvenuta la morte. Ma , alla fine, vinse il desiderio del Santo, il quale “pregò i frati di trasportarlo in fretta a Santa Maria della Porziuncola, volendo rendere l’anima a Dio là dove per la prima volta aveva conosciuto la via della verità”.(FF, 507) Francesco, oramai prossimo al trapasso, chiese che venisse avvertita Giacomina dei Settesoli, nobile signora romana, devota al santo, che lo aveva ospitato a Roma. Francesco detta la lettera pregando “ Frate Jacopa” (come egli la chiamava) che si affrettasse a venire, se voleva rivederlo vivo. Ma prima che partisse il messo che doveva recare la lettera, all’improvviso si udì dalla porta un calpestio di cavalli e il rumore di una comitiva. Uno dei confratelli si avvicinò alla porta e si trovò davanti Giacomina che, avvertita in sogno della prossima scomparsa del santo, si era precipitata per rivederlo.
Aveva portato con sé un panno di color cenerino, con cui ricoprire il corpo morente, dei ceri, una sindone per il volto, un cuscino per il capo e dei dolci (i mostaccioli) che il Santo aveva desiderato, e che la nobildonna gli preparava allorché lo aveva ospite a Roma. Giacomina assisterà alla morte e ai funerali del Santo, si farà terziaria francescana, si stabilirà ad Assisi e alla sua morte sarà seppellita accanto alla tomba di san Francesco (cfr. FF, 860). “Quando Francesco sentì che stava per giungere il momento della sua partenza da questa terra, convocati intorno a sé i suoi frati, impartì a ciascuno la benedizione, come un tempo il patriarca Giacobbe benedisse i suoi figli”(FF, 505). Francesco spirò la sera del 3 ottobre 1226. In quel momento uno stormo di allodole si posò sul tetto e a lungo garrì, salutando l’amico che volava al cielo (cfr. FF, 855)
Come si celebra il 4 ottobre
Con l’ avvicinarsi del VII centenario della morte di san Francesco (1926) il Consiglio di presidenza della “Fides Romana” lanciò un appello a tutti gli italiani perché esprimessero la loro unità spirituale attraverso il simbolo di una Lampada votiva che ardesse perennemente presso la tomba di San Francesco.
All’inizio della conversione, subito dopo aver udito le parole del Crocifisso in San Damiano , san Francesco , come primo gesto di amore, offrì del denaro ad un sacerdote perché comprasse olio per far ardere una lampada di fronte a quella immagine così miracolosa. Così è scritto nella “leggenda dei tre compagni” e Tommaso da Celano precisa che l’intenzione di Francesco era che “la sacra immagine non rimanesse priva, neppure per un istante , dell’onore, doveroso, di un lume”. Così la“Fides Romana” esorta i Comuni d’Italia ad offrire una lampada votiva presso la Tomba del Poverello pacificatore.
L’appello diceva: “Nel giorno sacro della gloria luminosa di Francesco d’Assisi, mentre il mondo cristiano già si appresta a celebrare l’Anno Centenario di Colui che fu definito il più Santo fra gli Italiani, il più italiano fra i santi, ‘Fides Romana’ lancia un appello di concordia e di fede …”.
Una lampada votiva sulla Tomba di Francesco in una fiamma sola – come sulla Tomba di Dante – dalle cento Città e dai mille e mille Comuni della Patria. L’unità spirituale espressa nel Simbolo, a Ravenna, presso l’urna del Poeta sia espressa così anche ad Assisi presso l’urna del Santo e la trepida luce dell’ulivo si accenda, nell’auspicato giorno centenario, “festa nazionale” d’Italia, a promessa e a cominciamento nuovo nell’ardua perenne fatica. Per felice coincidenza, la realizzazione della lampada avvenne in concomitanza con la proclamazione di San Francesco Patrono Primario d’Italia (1939) voluta da Papa Pio XII. Nelle vita primigenia dell’ordine , il dono dell’olio, che le regioni offrono al Patrono d’Italia, è segno di gratitudine e stima ma è anche il riconoscimento sul significato delle proposte francescane; la fiamma, rappresenta invece l’amore per Cristo crocifisso.
Fonte: sanfrancescopatronoditalia.it