Bergoglio aveva ricordato per la prima volta il caso dei diciotto marinai italiani sequestrati il 1° settembre a largo della Cirenaica domenica scorsa in piazza San Pietro. Ma le autorità dell’Est della Libia hanno fatto sapere che i pescatori non verranno rilasciati se non in cambio di quattro calciatori libici condannati in Italia.
Papa Francesco questa mattina alle 7 ha accolto i familiari dei pescatori di Mazara del Vallo che dal 1° settembre sono stati arrestati in Libia dalla milizia del generale Khalifa Haftar. Il papa aveva ricordato per la prima volta il caso dei diciotto marittimi italiani, tunisini, senegalesi e indonesiani nell’Angelus di domenica scorsa in piazza San Pietro. E oggi di buon mattino le sei donne e i due uomini di Mazara che da ben 30 giorni hanno montato le loro tende in piazza Montecitorio – ogni notte, quattro di loro dormono in strada – saranno accolti in Vaticano.
“Siamo entusiasti dell’incontro con il pontefice, è una grandissima emozione e soprattutto ci dà un’incredibile speranza”, dicevano ieri notte in piazza le donne e l’armatore di uno dei due pescherecci sequestrati dai soldati di Haftar. Sui due pescherecci “Medinea” e “Antartide” bloccati il 1° settembre c’erano otto cittadini italiani, sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani. Erano tutti impegnati nella pesca del gambero rosso al largo delle coste di Bengasi, nella Libia orientale, la Cirenaica.
In un primo momento tutti i pescatori sono stati trasferiti in un edificio nel carcere di El Kuefia, a 15 km a sud est da Bengasi. Poi gli italiani erano rimasti soli, mentre gli altri erano stati fatti entrare nelle celle con i criminali comuni libici. Dopo alcuni giorni, i capi della milizia di Haftar hanno riunito ancora una volta italiani e stranieri.
In questi giorni le autorità dell’Est della Libia hanno fatto sapere che i pescatori non verranno rilasciati se non in cambio della liberazione di quattro calciatori libici, condannati in Italia a 30 anni di carcere. I quattro sono detenuti in Sicilia in quanto condannati per essere stati tra gli scafisti della cosiddetta “Strage di Ferragosto” in cui morirono 49 migranti, asfissiati nella stiva di un’imbarcazione. Uno scambio impossibile, fra carcerati condannati da un sistema giudiziario e pescatori bloccati da una milizia non riconosciuta dalla comunità internazionale.
Fonte: Repubblica.it – Vincenzo Nigro