Per facilitare la riflessione personale e comunitaria, mi permetto condividere qualche idea:
Per ritornare alla vita normale, che non può essere quella che svolgevamo prima del COVID-19, dobbiamo rileggere, per obiettivare e meglio comprendere, tutto quello che abbiamo vissuto, come comunità ecclesiale, in questi ultimi mesi. Abbiamo troppo sofferto, perché il tempo del COVID-19 possa essere considerato una parentesi, da aprire e chiudere con facilità e semplicità.
Innanzitutto, credo che dobbiamo ringraziare il Signore perché siamo stati una Chiesa vigile ed attenta, come è nostro dovere, presente sul territorio in modo coraggioso ed audace, condividendo e pagando un prezzo altissimo in vite umane.
Poi, credo che dobbiamo renderci conto che, con responsabilità e coraggio, abbiamo scelto la “clausura” non gli arresti domiciliari, perché abbiamo deciso di chiudere i luoghi di culto per meglio pregare, senza mettere in pericolo la salute e la vita di nessuno.
Questa scelta non ci ha impedito di fare uso di tutto quello che la tecnica ci offre, per spezzare la Parola e cercare di dare un senso, che vada oltre il contingente, a tutto quello che stiamo vivendo. Qualche volta, dobbiamo riconoscerlo, questo uso della tecnica è stato anche un abuso, ma le intemperanze e le incompetenze di qualcuno non possono oscurare tutto il bene che è stato fatto con le celebrazioni, le meditazioni, le catechesi.
Siamo stati vicini ai più bisognosi e ai più deboli, con carità e prossimità, prevenendo e supportando le deficienze degli Enti locali e dello Stato. Come nessun’altra realtà sociale siamo stati presenti nel territorio educando a rispettare le regole, portando speranza e dando a tutti una buona parola di sostegno, oltre che i viveri di prima necessità, come è nostro dovere fare. Abbiamo collaborato, in modo concreto ed intelligente, con tutti coloro che si sono prodigati perché nessuno fosse abbandonato a se stesso.
In questi mesi di clausura, abbiamo supportato con una preghiera incessante la fatica e il dolore di tutti coloro che sono stati contagiati; abbiamo invocato l’aiuto di Dio sui medici e il personale paramedico che sono i più esposti al contagio del virus; abbiamo invocato la benedizione di Dio su tutti coloro che non ce l’hanno fatta e hanno concluso questa vita terrena nella solitudine più amara. Siamo consapevoli che l’aiuto più grande, che come Chiesa abbiamo offerto al Popolo italiano, è stata la nostra preghiera personale e comunitaria.
Adesso che l’emergenza è sotto controllo, chiediamo allo Stato italiano, di poter riaprire, al più presto, i luoghi di culto, di formazione e di catechesi, con tutte le dovute precauzioni, per continuare la nostra missione in modo nuovo, senza sciupare quanto il Signore ci ha fatto sperimentare e tutto quello che abbiamo imparato in amore concreto e in annuncio vitale.
Non si tratta di ritornare a come facevamo prima, ma di ritornare ad accogliere, ascoltare, consolare annunciare, invocare, celebrare, vivere la fede in termini nuovi, più diretti e meno mediati dalla tecnica.
Questa emergenza, ci ha fatto riscoprire il bisogno che abbiamo di stare insieme come famiglia di Dio, dell’importanza di condividere il tempo e lo spazio, della necessità di comunicare i sentimenti e i valori. In questa emergenza abbiamo sentito quanto è grande e bella la nostra fede celebrata e vissuta insieme.
Tornare alla normalità, deve significare mettere a frutto tutto quello che abbiamo scoperto di positivo e di costruttivo, in questo tempo di doloroso esilio, vissuto nella fede come una “clausura”.
Don Pino