Negli ultimi tre anni la flotta peschereccia siciliana si è stabilizzata intorno alle 2.700 imbarcazioni, con una stazza complessiva di circa 47.000 tonnellate e una potenza motori di circa 233.000 kilowatt. Dieci anni fa erano 4000 mentre oggi grazie ai fondi comunitari, i giovani cominciano a improvvisarsi in nuovi mestieri, riutilizzando e ammodernando le barche e le case dei pescatori, spesso già utilizzate ed abitate dai loro familiari, per destinarle all’accoglienza di turisti interessati a vivere un’esperienza unica, tra riscoperta di antichi mestieri legati al mare e assaggio dei sapori della cucina mediterranea. Sono solo alcuni degli spunti del “Rapporto sulla Pesca e sull’Acquacoltura in Sicilia – 2017” presentato oggi alla Sala Rossa di Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Il rapporto, previsto dalla legge regionale 16 del 2008, è redatto dall’Osservatorio della Pesca del Mediterraneo, presieduto da Giuseppe Pernice e fornisce una “fotografia” degli aspetti tecnico–biologici, ambientali e socio-economici della filiera della pesca siciliana e mediterranea. Alla sua stesura hanno collaborato i ricercatori, i giuristi e gli economisti componenti dell’Osservatorio. Ma quali sono le difficoltà e le nuove sfide del settore? A fare la concorrenza ai pescatori siciliani, nel Mediterraneo, ci sono sempre più numerose e agguerrite, le flotte dei paesi nord africani, tunisine, algerine, libiche, egiziane che in questi anni hanno aumentato notevolmente la loro consistenza: la sola flotta egiziana è cresciuta del 40 per cento dal 1997 al 2015, raggiungendo la consistenza numerica di quasi 5.000 imbarcazioni, dei quali oltre il 62 per cento pesca nel Mediterraneo, spesso nelle stesse aree della pesca a strascico delle barche siciliane. E mentre la flotta peschereccia di Mazara del Vallo, tra le più antiche, dal 1995 al 2017 si è ridotta da 306 a 206 imbarcazioni, gli operatori si dedicano sempre più numerosi alla pesca costiera, la piccola pesca artigianale, che è stata incentivata anche dalle politiche regionali avviate nel corso degli ultimi anni attraverso i bandi comunitari Po Feamp 2014-2020.
Tra le varie misure messe a bando, una è rivolta ai pescatori professionisti, proprietari di imbarcazioni adibite alla pesca costiera artigianale, e si propone di aiutare i giovani nell’accesso al mercato del lavoro nel settore della pesca attraverso programmi di tirocinio e corsi su pratiche di pesca sostenibile e conservazione delle risorse biologiche marine. Per questo bando, del 29 dicembre 2017, è stata stanziata una somma di 9.000.000 euro. “Il rapporto è uno strumento che l’amministrazione tiene a monito – spiega Edy Bandiera, Assessore dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea della Regione Siciliana – per intervenire efficacemente sui fabbisogni del comparto, potendo beneficiare di know-how di rilevante entità e di informazioni utili a migliorare la qualità del lavoro in mare e a terra degli operatori, e dei prodotti e dei processi produttivi della filiera”. “Il lavoro che l’Osservatorio svolge è di ausilio per un’analisi del contesto – aggiunge Dario Cartabellotta, dirigente generale del Dipartimento Pesca Mediterranea della Regione Siciliana – per individuare le criticità e conseguentemente per ricercare, trovare e suggerire all’amministrazione le possibili azioni per superare le difficoltà oggettive che il comparto ittico siciliano sta attraversando”.
“Il dato più importante è la stabilizzazione del flusso di decrescita del numero di pescherecci – dice Giuseppe Pernice – la pesca artigianale effettuata con barche con una lunghezza massima di 12 metri sta crescendo”. ” I cambiamenti socio-politici avvenuti nella sponda sud del Mediterraneo impongono il potenziamento delle “politiche di prossimità” – dice Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto della Pesca e Crescita Blu – e della “cooperazione transfrontaliera” per la costruzione di “ponti” commerciali, e culturali. Salvaguardia delle risorse marine e terrestri, sviluppo sostenibile, rigenerazione delle risorse a partire da quelle marine sono i tre punti cardine attorno ai quali ruota la “blue economy” attraverso la quale, in questi ultimi anni, il Distretto ha promosso un approccio condiviso per la gestione delle risorse ittiche”.
(Fonte: Repubblica.it – Isabella Napoli)