La famiglia l’aveva costretta a sposarsi quando aveva 13 anni e il marito l’aveva stuprata con la complicità del fratello e di due cugini. Lei allora aveva ucciso con una coltellata il suo aguzzino perché non voleva continuare a subire violenze e soprusi. E adesso Noura Hussein, 19 anni, è stata condannata a morte in Sudan per omicidio. Il suo caso ha scatenato una vasta mobilitazione internazionale, con campagne social per salvare la sposa bambina.
Nel suo Paese è legale sposarsi a 10 anni ed è consentito violentare la propria moglie. Su Twitter gli hashtag .JusticeforNoura e .SaveNoura sono sempre più popolari e in migliaia hanno già firmato una petizione pubblicata su change.org chiedendo la scarcerazione della ragazza. Molte le associazioni internazionali insorte a difesa di Noura, tra cui Amnesty International che punta il dito contro un Paese che ancora non ritiene reato lo stupro coniugale.
Ricorso contro la sentenza di morte – “Gli avvocati, Adil Mohamed Al-Imam e Mohaned Mustafa Alnour, hanno già presentato ricorso contro la sentenza”, dichiara Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur che lancia un appello per salvare la giovane rinchiusa nella prigione femminile di Omdurman. “Se il ricorso non venisse accolto, Noura finirà sul patibolo per essere impiccata”, ha sottolineato Napoli, in contatto diretto con i legali della ragazza.
“Noura è sotto shock per la condanna a morte”, ha detto alla Cnn l’avvocato Al-Imam che si è già occupato del caso di Meriam Ibrahim, la donna incinta all’ottavo mese salvata dalla lapidazione per apostasia. Al-Imam ha raccontato che dopo le nozze nel 2012 la ragazzina riuscì a scappare da una zia e a non ‘consumare’ il matrimonio. Ma due anni dopo i genitori la rispedirono a casa del marito e fu allora che la ragazza fu stuprata. “Il fratello e due cugini del marito le tenevano testa e gambe a terra dopo averla schiaffeggiata”, è l’agghiacciante racconto dello stupro nelle parole dell’avvocato. Quando il giorno dopo stava per ripetersi la stessa violenza la quindicenne impugnò un coltello e pugnalò a morte il marito.
Il caso di Noura non è isolato in Sudan, ma è la prima volta che una storia del genere ha un’eco internazionale. “Lo stupro da parte del coniuge è una violenza ricorrente in questo Paese ma non se parla mai”, spiega Ahmed Elzobier, ricercatore di Amnesty International.
L’ultima parola adesso spetta ai giudici. “Giovedì un tribunale di Omdurman ha condannato a morte Noura per aver ucciso il suo stupratore – si legge nella petizione lanciata da Italians for Darfur su change.org Italia -. Raccogliamo quante più firme possibile da inviare al presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir per chiedere la grazia e l’immediata liberazione”.
(Fonte: Tgcom24.mediaset.it)