Tangenti e favori. Sono parole ricorrenti nelle dichiarazioni dell’imprenditore alcamese Vito Nicastri, ritenuto tra i finanziatori della latitanza del boss Messina Denaro e finito al centro di una inchiesta su un giro di mazzette alla Regione siciliana. Un’inchiesta che ha avuto una grossa eco anche a oltre lo Stretto portando in carcere l’ex consulente della Lega Paolo Arata.
Nicastri, re dell’eolico, parla da settimane dal carcere in cui è rinchiuso con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, autoriciclaggio, corruzione e intestazione fittizia di beni. Nei suoi racconti ha svelato i ruoli dei protagonisti dell’ennesimo caso di corruzione nella burocrazia regionale siciliana, ha fatto nomi di soci occulti e ha quantificato il prezzo della “benevolenza” di chi, illecitamente, gli rilasciava permessi e autorizzazioni.
Quella di Nicastri, in carcere assieme al figlio Manlio, suo partner nel business delle energie rinnovabili, è una collaborazione eccellente che potrebbe portare a colpi di scena clamorosi e complicare la posizione processuale di uno dei suoi soci nascosti: Paolo Arata, faccendiere, consulente della Lega, finito in cella per gli stessi reati insieme al figlio Francesco. Arata è indagato anche a Roma per una presunta tangente di 30mila euro all’ex sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri.
Le rivelazioni del ‘re dell’eolico, piccolo elettricista che ha accumulato una fortuna diventando un nome nell’imprenditoria legata alle energie rinnovabili, hanno oggi portato agli arresti domiciliari Antonello Barbieri, imprenditore milanese, e Giacomo Causarano, ex funzionario regionale dell’assessorato all’Energia. “Ogni volta che dovevo parlare con Alberto Tinnirello, responsabile dell’ufficio III dell’Assessorato e colui il quale avrebbe dovuto firmare l’autorizzazione, mi rivolgevo al responsabile del procedimento, Giacomo Causarano”, racconta Nicastri ai pm Paolo Guido e Gianluca De Leo. Causarano, dunque, ora accusato di corruzione, avrebbe fatto da tramite tra l’imprenditore alcamese e Tinnirello, dirigente dell’assessorato che doveva rilasciare l’autorizzazione unica, permesso necessario a Nicastri per un progetto di realizzazione di due impianti di biometano a Francofonte e Calatafimi.
Tinnirello, indagato da mesi, è finito ai domiciliari nelle scorse settimane. Il prezzo della corruzione sarebbe stato 500mila euro. “Ho consegnato a Causarano personalmente nei miei uffici 100 mila euro in tranche da 10-12 mila euro, – racconta Nicastri – denaro che secondo quanto riferitomi da Causarano avrebbe dovuto consegnare a Tinnirello”.
I soldi venivano dall’imprenditore mafioso Francesco Isca, anche lui arrestato, ma il taglio originario delle banconote non piaceva al funzionario e venne cambiato. Cinquencentomila euro, dunque, per un sì che avrebbe consentito al re dell’eolico di avere un progetto approvato da rivendere a grosse imprese del settore incassando fino a 15 milioni di euro. E Tinnirello avrebbe risposto con sollecitudine. “Per la terza e ultima istanza gli uffici si mossero addirittura in un giorno”, racconta Nicastri.
A Barbieri, invece, si contesta l’essere stato socio occulto del re dell’eolico nel 2015 e di aver ceduto la sua parte ad Arata per 300mila euro. Il denaro sarebbe poi andato a Nicastri. Per gli inquirenti l’alcamese dice il vero: alcuni documenti trovati nel corso di perquisizioni agli indagati confermerebbero le sue dichiarazioni.
E secondo indiscrezioni il racconto dell’imprenditore alcamese sarebbe solo all’inizio.
Fonte: Gds.it