A Trapani arrivano da anni fiumi di droga: marjuana, hashish, cocaina, eroina, crack, e questo nonostante le innumerevoli operazioni delle forze dell’ordine con arresti e sequestri di stupefacente. A spiegare come è stato fino ad oggi gestito il traffico e lo spaccio di droga in questa città e nel suo hinterland è stato Antonino Tranchida, 37 anni, di Paceco, che da quando ha iniziato a collaborare con la giustizia ha svelato nomi e collegamenti.
Un vero terremoto. Sarebbero infatti parecchi i verbali raccolti dai pubblici ministeri della Dda di Palermo Luisa Bettiol e Gianluca De Leo. Piccole e grandi organizzazioni hanno fatto affari grazie a stretti rapporti con i fornitori palermitani, ma anche calabri o campani. Malavitosi trapanesi e anche di Paceco che si sono da sempre divisi il territorio e il controllo dei pusher riuscendo a fare incassi settimanali da 50 a 70 mila euro.
Tranchida ha indicato nomi e cognomi, luoghi precisi dello spaccio come via Mascagni, Milo, il Bronx. Il suo racconto parte da lontano e arriva ai nostri giorni. Tranchida indica il capo piazza di Trapani: «Antonio Beninati era un capo piazza nel rione Sant’Alberto, rione Palme, l’ho cominciato a fornire proprio quando c’è stato l’arresto del figlio Giuseppe. Penso che dobbiamo essere sul 2016». Gli vendeva ogni tipo di droga: «Cocaina, marijuana, hashish. Questa piazza era già ben attiva, la forniva Giovanni Alagna, settimanalmente c’era un incasso dai 50 ai 70 mila euro. Lui organizzava la piazza, aveva dei ragazzi che lavoravano con lui». Tranchida dice che lo smercio su strada era la parte finale del lavoro: «Aveva un appartamento in cui non abitava nessuno di fronte alla sua abitazione, veniva utilizzato per lo stoccaggio della droga e il confezionamento a dosi e poi i vari ragazzi vendevano al dettaglio giù sotto la sua casa. Era un vialetto della via Michele Amari, una rientranza della via Michele Amari».
Tra i nomi fa anche quello di Giuseppe Salerno, figlio di Carmelo (in atto detenuto), «poi c’è stato che è subentrato Salerno che lavorava con Massimo Ferrara, al quale di nascosto da me hanno dato qualche paio di chili di cocaina. Quando io l’ho scoperto non gli ho voluto più fornire niente, abbiamo bloccato i rapporti, perché io volevo l’esclusiva». Racconta anche che c’era un assaggiatore della cocaina che dava la sua opinione per conto di Giuseppe Salerno e di come iniziò la sua attività illecita per conto proprio. Prima Salerno faceva consegne di stupefacenti per conto di Ferrara.
Parla anche di quando nel 2016 nascose per una settimana il figlio di Beninati, Giuseppe Felice dopo che aveva sparato allo zio e lo stavano cercando. «Lo portai a Palermo e poi a Villagrazia, alla fine Giuseppe Felice diede indicazione al padre di rifornissi da me». Racconta della sparatoria nel 2017, alla saracinesca del bar «Perbacco» a Trapani come ritorsione per il furto di una partita di hashish e che la droga veniva nascosta in un terreno di una casa affittata a Bonagia. «La marijuana arrivava da Partinico, l’hashish da Palermo e la cocaina poteva essere di Palermo oppure poteva essere di Partinico… in base a dove avevo caricato». E quando si parla di Partinico saltano fuori i Vitale. Nonostante gli arresti, non è stato interrotto il traffico di cocaina e i corrieri continuano a fare la spola fra Palermo e Trapani e il flusso di droga continua. Ora però i magistrati hanno un’arma in più: Antonino Tranchida.
Fonte: Gds.it – Laura Spanò