Se fosse una partita di calcio (che tanto ci manca) potremmo dire che il Sud e la Sicilia, contro l’ondata dell’epidemia di coronavirus che viene dal Nord, in questo momento stanno facendo il classico catenaccio all’italiana. E, almeno per ora, sembra funzionare.
Lo ha confermato ieri Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, nel corso della conferenza stampa quotidiana al Dipartimento della Protezione Civile, che si è detto “moderatamente soddisfatto” dei dati che arrivano dalle regioni centro-meridionali, ovviamente Sicilia inclusa: “Vogliamo avere l’evidenza che la diffusione epidemica nel paese si è arrestata come incremento giornaliero. Vale la pena sottolineare come nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale c’è stata la capacità del sistema sanitario di contenere una crescita importante del numero di soggetti infetti, non era scontato ottenere questo risultato – ha detto Locatelli -. Vale la pena sottolinearlo con forza come ulteriore efficacia delle misure di contenimento che non devono essere minimamente allentate”.
L’ultimo passaggio è, ancora una volta, determinante: il Sud e la Sicilia si stanno in questo momento ancora salvando dall’onda solo ed esclusivamente grazie al “lockdown” italiano, quello dell’”io sto a casa”, tanto per essere chiari. E se a qualcuno dovesse venire in mente di non rispettarle, queste misure, o di allentarle, visto l’ottimismo e i numeri buoni, “è giusto che sappia che avrà un grosso ringraziamento da parte del Covid-19, che non aspetta altro per diffondersi anche da noi”, ha continuato Locatelli.
La situazione in Sicilia – Una settimana fa l’assessore alla Sanità regionale Ruggero Razza e il presidente Nello Musumeci avevano dichiarato che quella appena sarebbe sarebbe stata la prima di tre settimane decisive, e i numeri del contenimento sono stati confortanti, nettamente migliori di quelli tra il 21 e il 28 marzo, quando la curva d’incremento giornaliera oscillava tra il 15% e il 21%, tra le più alte in assoluto.
La Sicilia, ora come ora, ha la minor percentuale d’Italia di casi di coronavirus in rapporto agli abitanti dell’intera Penisola: per intenderci, “solo” lo 0,039% dei siciliani è stato colpito dal virus, con Palermo (296 casi in tutta la provincia) capoluogo di regione in assoluto meno toccato dall’epidemia, con lo 0,024% di casi di Covid-19.
Nei sette giorni appena passati si è inesorabilmente scesi, fino ad arrivare ad un per ora tranquillizzante +3,9% di ieri, meno addirittura della media nazionale (4%). D’altronde, basta dare un’occhiata ai dati. Sabato 21 marzo i casi di coronavirus totali in Sicilia erano stati 490, fino a crescere a 1359 del 28 marzo, con un dato veramente preoccupante tra il 23 e il 25 marzo, quando la crescita era aumentata ben oltre le 150 unità al giorno. In sette giorni, quindi i contagi non solo si erano raddoppiati, ma praticamente triplicati, con un aumento del 177% (anche se con numeri relativamente bassi è una percentuale che rende l’idea ma non è determinate).
Inutile nasconderlo: a quel punto si temeva veramente l’ondata, anche perchè erano i giorni coincidenti all’insensato esodo dal nord di inizio marzo, con migliaia e migliaia di persone sbarcate nell’Isola. Invece, dal 29 marzo e ieri i casi sono aumentati a 1932, con un incremento “solo” del 44%.
Qualcuno ha ipotizzato che il calo di contagi è dovuto anche al minor numeri di tamponi fatti questa settimana, rispetto a quella precedente. Che ci sia un problema di materiali, è indubbio e non solo in Sicilia ma in tutta Italia (inutile e anche triste ricordare la mancanza di mascherine e medici e infermieri mandati senza protezioni allo sbaraglio nella Penisola), ma a guardare i freddi numeri, la media si è mantenuta sugli 850-900 tamponi, ieri più di mille, come tra il 21 e il 28 marzo, dove solo in tre giorni si era superata la quota di 1000 esami (massimo 1500). Ricordiamo, inoltre, che la linea ufficiale dell’Oms è quella di fare questo tipo di esame solo ai sintomatici e che la Sicilia, finchè ha potuto, è andata anche oltre quanto richiesto.
Dati ottimi anche per quanto riguarda le terapia intensive occupate, che sono passate da 71 a 74 (con un picco di 80), i ricoverati da 512 a 627. Lo stesso purtroppo non si può dire dei decessi, quasi raddoppiati in una settimana (da 57 a 111), ma questo era, per quanto sia triste dirlo, qualcosa di atteso dagli esperti, per vari motivi: focolai in luoghi delicati come ospedali, case di riposo e centri disabili, prima di tutto, e in un’epidemia il dato che purtroppo si esaurisce per ultimo è proprio quello riguardante le vittime.
A proposito di focolai: attualmente la Sicilia ha quattro “zone rosse” (Agira, Villafrati, Troina e Salemi), con un occhio però a quello che sta avvenendo nel Messinese, con contagi all’interno dell’ospedale di Sant’Agata di Militello (che dovrebbe tra l’altro diventare Covid Hospital e in una residenza per anziani di San Marco D’Alunzio, dove ci sarebbero già una decina di casi.
Visti i dati, allora, possiamo dire che è finita e possiamo stare tranquilli? Tutt’altro. Il peggio potrebbe ancora arrivare. Se l’aumento sarà costante, la sanità potrebbe reggere l’urto senza particolari problemi, ma per far si che ciò accada, è fondamentale mantenere le stesse misure di oggi. Dopotutto, Razza e Musumeci hanno continuamente spostato il picco di casi in Sicilia (che secondo gli esperti della Regione dovrebbero oscillare tra 4500 e 7000), che dovrebbe arrivare all’incirca a metà aprile. Inoltre, come ha chiarito l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, “i contagi arrivati dal Nord non si vedono in due settimane, ci vuole ancora un pò di tempo”. Dunque, non resta che sperare e aspettare. A casa, naturalmente.
Grafici realizzati dal Dipartimento per la Pianificazione strategica dell’Assessorato Salute della Regione Siciliana
Fonte articolo: Gds.it – Luigi Ansaloni